Home festivalcinema Locarno 66 in pillole: Tomogui di Shinji Aoyama

Locarno 66 in pillole: Tomogui di Shinji Aoyama

Adattato per lo schermo da Haruhiko Arai,  Tomogui,  il romanzo dello scrittore giapponese Shinya Tanaka, è adesso il nuovo film di Shinji Aoyama (Eureka, Sad Vacation, Elì, Elì, Lema Sabachthani?, Tokyo Park), una ricognizione sulla violenza estrema nascosta nei recessi dell’animo umano che in un certo senso si lega ad alcuni dei temi affrontati dal regista giapponese, pensiamo alla recente sceneggiatura scritta dallo stesso Shinji Aoyama per  Cut di Amir Naderi,  e al modo in cui Sad Vacation era un film sul ruolo complesso delle donne nella società Giapponese osservata attraverso più storie di violazione, al punto che lo stesso Shinya Tanaka, nel valutare il risultato del film in relazione al suo romanzo, lo ha definito “una storia di donne”.

Il film si svolge alla fine degli anni ’80 a Shimonoseki intorno alla vita di un diciassettenne, Tooma (Masaki Suda) mentre convive con il padre e la sua amante, oggetto della violenza feroce e perversa dell’uomo (Ken Mitsuishi), un sadismo che Tooma rifiuta, ma che in realtà replicherà contro Chigusa, una sua coetanea che ha appena cominciato a frequentare, trasformando un incontro d’amore in un momento di violenza estrema. Shinji Aoyama lavora, come usualmente nel suo cinema, con continue variazioni del punto di vista, stressando al massimo la stessa concezione di “climax”, quando infatti l’amante del padre di Tooma (Yukiko Shinohara) fuggirà di casa incinta dopo ripetute violenze, l’uomo infuriato proverà a cercarla mentre un tifone sta mettendo a dura prova la città ormai allagata. Nella foga della ricerca, il padre di Tooma arriverà ad un santuario dove incontrerà proprio Chigusa, in una sequenza potentissima dove lo scatenarsi degli elementi naturali sembrano fare da contraltare a tutto quello che si è visto fino ad ora, con una forza che sembra maggiormente vicina al cinema classico Giapponese, rispetto ai film precedenti di Shinj Aoyama.

Tomogui in questo senso è un’opera molto più fisica e meno incline allo sperimentalismo visivo di film come “Elì, Elì, Lema Sabachthani?” o dello stesso “Sad Vacation“, ricorda molto da vicino l’analisi “entomologica” sui personaggi e la poesia dei bassifondi di alcuni film di Shoei Imamura, ma con un approccio che è profondamente personale e che ne fa uno dei film più riusciti dell’autore Giapponese.

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