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Locarno 66 in pillole: When Evening Falls on Bucharest or Metabolism di Corneliu Porumboiu

Terzo film per il regista Rumeno Corneliu Porumboiu realizzato a sette anni di distanza da 12:08 East of Bucharest, il debutto che gli fece vincere la Camera D’or al festival di Cannes. Come nei film precedenti, Porumboiu concepisce un cinema fortemente teorico, spingendo in questo caso al massimo la riflessione sul linguaggio, con uno stile allo stesso tempo rigoroso e distante, e sviluppando attraverso un numero limitato di quadri suddivisi per i 90 minuti complessivi del film, una riflessione sul concetto di piano-sequenza nel passaggio dalla pellicola ai supporti digitali, oggetto tra l’altro di una conversazione tra i due personaggi principali, un regista di nome Paul (Bogdan Dumitrache) e l’attrice che lavora ai suoi progetti, Alina (Diana Avramut).

Tra i due, al lavoro su un film del quale non sapremo molti dettagli, c’è una relazione in corso che favorisce lo scavo reciproco e un certo sadismo da parte di Paul nel torturare psicologicamente Alina su questioni che riguardano la sua interpretazione e la resa di scene specifiche.

Porumboiu instaura una distanza siderale tra i due personaggi, colti quasi esclusivamente in una serie di sequenze di dialogo sulla prassi del cinema, sulla loro relazione, sull’evoluzione e l’influenza degli utensili in relazione alle varie cucine nazionali, sui limiti imposti dagli 11 minuti di ripresa di un rullo per una 35mm come capacità di impostare il proprio cinema, a partire da quel limite, fino ad una serie di schermaglie personali.

Metacinema rigoroso, oppure pedante, oppure qualcosa di più sottile e raggelante? Perchè se c’è un elemento comune nel cinema di Corneliu Porumboiu, questo è un disinnesco di tipo ironico, ferocissimo, che ricorda certamente tutto meno che i riferimenti esplicitamente indicati allo spettatore. Quando ci si riferirà ad Alina con uno dei tanti agganci al cinema di Michelangelo Antonioni, dicendo che “somiglia molto a Monica Vitti“, sembra che Porumboiu pensi ferocemente al Godard di Detective più che al maestro Ferrarese, con un riferimento a quel “falso botticelli” che Alain Cuny indirizza a Nathalie Baye nel film più duramente anti cinefilo di JLG.

È allora il raggelamento di ogni cinefilia quello ipotizzato da Porumboiu, un gesto feroce e condotto sul filo di un’ironia acida e soverchiante, che ha il compito di mantenere l’immagine a distanza e che sembra fare i conti, in questo ostinato rifiuto del digitale, con il passato, cosi come succedeva nei precedenti film del regista Rumeno, sempre condotti sul filo di un’ironia durissima, nel raccontare una Romania tra passato e presente. Del resto, tutta la mancanza di romanticismo che è presente nei dialoghi sulla pratica autoriale, trova il suo culmine nel momento in cui Paul farà vedere al suo dottore un DVD con le immagini ravvicinate di una colonscopia, sequenza quasi catartica, che mostra una camera “al lavoro”, durante un’esplorazione rettale, un bello sberleffo.

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