Jung-Bum Park, interpreta e dirige il suo secondo film dopo Musanilgi (Journals of Musan) del 2010, tornando ad osservare le contraddizioni economiche della Corea del Sud attraverso le difficoltà della classe lavoratrice più disagiata, con la stessa forza dell’esordio e costruendo un film imponente, non solo per la durata di 179 minuti, ma sopratutto per il rigore con cui mette in scena se stesso nella parte di Jungchul, uomo che vive il lavoro come una condanna e allo stesso tempo come l’unica possibilità per garantire un futuro alla propria famiglia. Intorno a lui un’umanità che cerca di riscattarsi con i sogni; l’amico che prova a fare incubatori per le uova con la volontà di trasferire la sua vita nelle Filippine, la sorella traumatizzata dalla perdita dei genitori che mentre spera di riuscire a far l’attrice si prostituisce, la nipote Ha-na che si cimenta con gli studi di pianoforte; un contrasto tra desiderio e concretezza che Jung-Bum Park evidenzia attraverso l’ostinazione di Jungchul e sopratutto un’immagine necessariamente anti-metafisica, dove qualsiasi possibilità di emancipazione dal reale viene negata dalla costante aderenza materiale ai gesti quotidiani, siano essi legati alla ripetizione della prassi lavorativa, oppure mancate rivelazioni, come il rapporto di Ha-na con la preghiera che si esaurirà progressivamente in una negazione di qualsiasi speranza salvifica. Veri e propri stray dogs, le figure che popolano il film di Jung-Bum Park cercano di rimanere vive mentre lo spazio fisico e architettonico li schiaccia; alle case fatiscenti che abitano il regista coreano contrappone la geometria iperreale dei luoghi dove vive l’imprenditore della fabbrica di lavorazione della soia, quella dove lavora Jungchul. L’unica speranza che attraversa le immagini di Alive risiede proprio nella capacità di Jung-Bum Park di lavorare sull’idea di durata in un modo ostinatamente possibile, mentre la superficie delle cose ci mostra una realtà terribile, è la dignitosa resistenza delle figure che l’attraversano a restituirci una dolorosa energia vitale.