Mariano, dopo una notte “visionaria”, si tuffa in piscina, calcola il tempo di due vasche e dopo essere uscito dall’acqua decide di tosare l’erba del prato, tagliando il cavo che porta alimentazione allo stesso tosaerba. Nel tentativo di ripararlo va verso il garage in cerca di qualche utensile adatto allo scopo, ma troverà una pistola. Senza nessuna traccia psicologica o il segno visivo di un trauma, Martin Rejtman lo segue nel percorso verso la sua stanza, dove il ragazzo si sparerà due colpi, uno in testa e l’altro in pieno stomaco. Nonostante questo, vivrà con il sospetto di avere una delle pallottole ancora dentro al corpo, perchè la prima viene trovata conficcata nella parete della camera, mentre della seconda, nessuna traccia. Quando riprenderà in mano il suo strumento, il flauto dolce, sentirà una strana interferenza che sdoppierà la sua percezione della nota suonata, per Mariano prova certa di un corpo estraneo presente dentro di lui. Da qui in poi Rejtman cambia costantemente impostazione al film, facendolo sconfinare nella commedia e inanellando una serie di eventi più o meno bizzarri, osservati quasi a distanza, come rappresentazione diretta e senza palesare nessuna interpretazione psicologica nè coinvolgimento emotivo, un’equidistanza che si riferisce ad un cinema ellittico, che all’invisibile da lo stesso peso del visibile. Tutto il mondo che circonda Mariano si manifesta senza nessuno strappo evidente, perchè a Rejtman sembra interessare maggiormente la relazione tra vuoto e corpi in una dimensione che se raggiunge i limiti della surrealtà, non è tanto per l’evidenza di una scelta simbolica, ma al contrario per la costante sospensione del senso, entro cui si muovono i personaggi, mossi da una propulsione spontanea, senza nessuna motivazione apparente se non l’elisione di qualsiasi spinta significante e significativa interna all’immagine. Da un certo punto di vista vengono in mente titoli come La Ciénaga, almeno per il modo in cui Rejtman persegue una certa immagine dell’assenza. Invece di ricorrere al “peso” morale dell’alienazione, Rejtman rifugge ogni tentazione di spingere il suo film nello spazio metaforico dell’incomunicabilità. Al contrario sembra che ciò che gli interessi sia una piccola entomologia del quotidiano, una restituzione dell’atto, senza mediazioni psicologiche; se da questi presupposti nasce uno sguardo ironico, questo non sembra progettato a priori, ma connaturato nelle immagini e nella ripetizione di azioni quotidiane, un momento prima di acquisire il peso del significato.