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Locarno 67 – Lucy di Luc Besson

Lucy (Scarlett Johansson) è una ragazza americana stanziata a Taipei, dove conosce, durante una serata in discoteca, Richard, americano anche lui e coinvolto in loschi traffici. Sarà proprio l’uomo che la convincerà a fare da tramite per la consegna di una valigetta al coreano Mr. Jang; inizio  di un vero e proprio incubo. Jang sta lavorando ad una nuova droga sinetica in grado di potenziare le facoltà cerebrali e per tentare l’esportazione in Europa decide di inserire nello stomaco di Lucy un sacchetto contenente la droga. Ma è proprio durante i viaggi che la donna sarà picchiata senza pietà dai suoi aguzzini che provocheranno la rottura del sacchetto causandone l’entrata in circolo nel suo organismo.

È da questo momento in poi che Lucy comincia ad acquisire incredibili poteri causati dal potenziamento cerebrale. La spiegazione del processo viene introdotta dal professor Samuel Norman ( Morgan Freeman) durante una conferenza che racconta del possibile utilizzo neuronale dell’essere umano in una percentuale superiore a quella normalmente sfruttata. Besson ci mostra le teorie del professore con un montaggio che va in parallelo con i progressi che Lucy compie durante la sua avventura fino ad una trasformazione che eccederà l’elemento corporeo per approdare ad una forma metafisica che avvicina il suo status a quello di un’intelligenza artificiale. Ipercinetico e iperviolento, il film di Besson è una summa del suo cinema, inclusi alcuni elementi che in fondo ricordano le sue esperienze con l’animazione, ma sotto il segno di una selvaggia e deragliante perdita di controllo che rende Lucy uno spettacolo scorretto e vicino al margine di improvvisazione dell’esperienza videoludica. Storceranno la bocca in molti, ma nel gioco senza moderazione Besson raggiunge momenti di pura astrazione poetica facendo quello che si fa sempre meno: rischiare.

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