Home festivalcinema Locarno 67 – Nuits blanches sur la jetée di Paul Vecchiali

Locarno 67 – Nuits blanches sur la jetée di Paul Vecchiali

Le quattro notti del sognatore Dostoevskijano attraverso l’occhio di Paul Vecchiali, sfiorano nuovamente l’essenzialità di un cinema che dialoga tra passato e presente con una trasparenza prodigiosa. Pascal Cervo è Fedor, un riflesso certamente esplicito dello stesso Dostoevskij, uno dei tanti riferimenti al mondo letterario dello scrittore Russo, che in “Nuits blanches sur la jetée” permea molti dei dialoghi, non solo limitatamente a “Le notti bianche”, contribuendo a costruire uno sfondo filosofico che Vecchiali veicola attraverso l’immediatezza di un’immagine digitale filmata con assoluto rigore e senza alcun tentativo di rimodellarne l’allure in una direzione nostalgica. Il grande regista Francese sceglie la fissità dell’immagine, in una direzione per certi versi simile al De Oliveira più filosofico, e lavora sul movimento attraverso la mutazione delle luci, provenienti da un faro che rimarrà quasi sempre sullo sfondo del molo; c’è in questo senso una fortissima sperimentazione sul colore e sul rapporto tra corpi e sfondo, come da sempre nel cinema del regista Francese, ma proiettata in avanti sulla consistenza dei mezzi digitali, la cui resa è davvero sorprendente nel creare un’immagine al contempo fantasmatica e iperreale, astratta e diretta, espressionista e filosofica. Stratificazione e contemplazione si diceva, parola che suggerisce il movimento del pensiero, anche attraverso innumerevoli riferimenti cinematografici trasformati in “lettera”, che contaminando la fedeltà al testo Dostoevskijano ne realizzano il senso più profondo, in quella relazione tra amore immaginato ed esperienza vissuta, trasparenza del sogno e opacità del reale. Prima ancora che le quattro notti abbiano inizio, Vecchiali introduce un dialogo tra il giovane Fedor e un anziano signore interpretato dallo stesso regista Francese, dove il primo copre di insulti il secondo, offrendoci in realtà l’immagine riflessiva del proprio disprezzo. L’incontro con Natasha (Astride Adverbe) avverrà di li a poco, con quattro notti sul molo dove alla delusione amorosa della donna farà da contraltare il progressivo innamoramento di Fedor. Alle parole che arricchiscono, modificano e rendono assolutamente flagrante la compenetrazione del testo Dostoevskijano con altri elementi, improvvisamente si aggiunge la leggera follia di un ballo della Adverbe sulle note di un brano scritto da Catherine Vincent insieme allo stesso Vecchiali, quasi a recuperare quell’anima squisitamente musicale che attraversava “Corps à coeur”, immagine di un sogno o di una costruzione immaginifica dello stesso Fedor, oggetto stesso delle mutevoli e lunghe conversazioni che il sognatore materializza e smaterializza nello spazio del molo.

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