All’età di 51 anni e dopo venti mesi di disoccupazione, Thierry (Vincent Lindon) comincia un nuovo lavoro dopo aver subito i colloqui più umilianti, ma deve affrontare un dilemma morale accentando un lavoro che detesta, facendo la guardia di sicurezza.
Stephane Brize, il cui cinema si è sempre confrontato con gli aspetti più intimi dei personaggi, senza necessariamente sottolineare la loro relazione con il contesto sociale, sposta l’attenzione proprio su questo meccanismo, osservando il contrasto tra l’umanità di una persona con la violenza imposta dalla società.
Scritto insieme ad Olivier Gorce, Loi du marche è una lucida analisi su alcuni degli aspetti politico-sociali più stringenti del nostro tempo, affrontato con notevole lucidità e organizzato a livello produttivo con una crew di artisti non professionisti, ad eccezione di Vincent Lindon, e con un budget limitato.
Lo scopo, secondo lo stesso Brize, era quello di spingere un attore professionista in un nuovo territorio, cercando quindi di evidenziare questo contrasto nella relazione con gli attori non professionisti, come progressivo avvicinamento alla verità. In questo senso la ricerca che la produzione del film ha effettuato, si è orientata verso persone che avessero effettivamente una relazione specifica con il loro ruolo, i cassieri della banca, i lavoratori della security, il personale dell’ufficio di collocamento, tutte persone che hanno lavorato nei rispettivi settori.
Loi du marche è il terzo film che Brize realizza insieme a Lindon e il primo con un giovane direttore della fotografia come Eric Dumont, la cui esperienza è legata al cinema documentario; Dumont è stato lasciato libero di lavorare nella scelta delle focali, nello stile, nella dimensione del pedinamento, per ottenere un approccio più vicino a quello della documentazione, quasi in contrasto al formato scelto, il cinemascope, utile per tagliare l’immagine sui margini e soffermarsi su qualcosa non necessariamente al centro, ma valorizzandone l’osservazione marginale.
“Quello che commuove in un film come questo – ha detto Vincent Lindon in conferenza stampa – è il modo in cui vengono rappresentate le persone costrette a fare quello che non vogliono fare; cattura le persone in una dimensione davvero precaria”
Nel lavoro di ricerca che Olivier Gorce ha fatto insieme a Brize, seguendo le guardie della sicurezza in contesti quotidiani, c’è il tentativo di rappresentare una situazione “degradante e brutale per il personaggio principale – ha aggiunto lo sceneggiatore – perché il sistema fa di tutto per spingere le persone ad essere indifferenti. Ho parlato a lungo con persone impiegate negli uffici di collocamento o nelle agenzie interinali, e ho creato il mio script anche in base a questi incontri, tutto quello che si vede nel film è profondamente radicato nella realtà”
“Credo che i film abbiano un ruolo determinante nella formazione politica delle persone – ha detto Lindon – il cinema è un mezzo molto potente, non credo cambi le idee delle persone ma le incoraggia a porsi delle domande. Come spettatore, sei come invitato ad assumere una posizione politica”