Mahboba Rawi è una donna afghano-australiana che Amin Palangi ha scelto per il forte magnetismo che si sprigiona dalla sua figura semplice e materna di donna che ha dedicato la vita ad aiutare gli orfani, le vedove e ad educare le ragazze in Afghanistan.
Fuggita da Kabul all’età di quattordici anni, ha vissuto nei campi profughi del Pakistan e da sposata si è stabilita in Australia.
Esorcizzare il dolore per la morte del figlio, annegato all’età di sei anni, ha significato dedicarsi a ben 25 progetti di accoglienza per bambini orfani sul territorio devastato da decenni di guerra del suo Paese d’origine, e i piccoli dell’orfanotrofio la ripagano con commoventi manifestazioni di affetto ad ogni sua visita. Aggrappati a lei come grappoli d’uva alla vite, la seguono per le stanze dell’ Hope House Orphanage che ha fondato per loro, e cantano, ballano e recitano filastrocche in uno scambio di amore che si traduce soprattutto in educazione a quei valori che la storia tremenda di quel Paese rischiava di rimuovere per sempre dal loro orizzonte.
Mahboba si muove di continuo tra Sydney, dove vive, e Kabul, spesso seguita dal marito che collabora con la sua attività e giornalisti che la documentano. In Love Marriage in Kabul ha accanto la giornalista televisiva di ABC Virginia Hausegger e il caso in corso riguarda Abdul, un orfano cresciuto nella comunità, ora giovane adulto, alle prese con un problema di cuore in un mondo dove la donna è ancora un oggetto da vendere e comprare.
Abdul ama riamato Fatemeh, quando fa buio si scambiano messaggi di luce a distanza, lui da un’altura, lei da una finestra della casa-fortezza dove vive quasi segregata. Vorrebbero sposarsi, ma il padre della ragazza chiede 10.000 dollari per concedere la figlia. Somma cospicua che nessuno ha, l’aiuto di Mahboba sarà determinante per far scendere il severo padre a più miti pretese e asciugare le lacrime che scorrono a più riprese sul viso del mite Abdul.
Vincitore del premio del pubblico al Sydney Film Festival 2015, miglior documentario al Canberra International Film Festival e selezione ufficiale del Melbourne International Film Festival e del Festival International des Programmes Audiovisuels, Love Marriage in Kabul sembra una bella fiaba a lieto fine, gli ingredienti ci sono tutti, compresa la forte carica empatica dei protagonisti che una regia misurata sa mettere in scena con garbo e naturalezza.
Ma poiché fiaba non è, la dura realtà si ripresenta ad ogni scena, fra strade sterrate dove le ruote affondano nel fango e il colore dello sporco negli edifici fatiscenti di un agglomerato urbano che poco ha di vivibile. I bambini non ancora orfani giocano nei vicoli tra le pozzanghere, quando hanno ancora gambe e braccia per farlo, altrimenti sono mucchi di stracci che chiedono la carità per strada, e fra mucche vaganti e soldati con fucili in spalla, bancarelle di cibo ammucchiato alla rinfusa e donne con burqa che scivolano via come fantasmi, scorre una vita in cui la guerra è diventato un male endemico, una presenza costante, un vizio assurdo.
Amin Palangi segue Mahboba e il suo gruppo in lunghe carrellate dentro e nei dintorni di Kabul, il paesaggio afghano scorre fuori dai finestrini del pulmino con tutte le sue ferite e la donna guarda la sua terra desolata consapevole del lungo cammino che ancora va fatto.
Per le migliaia di orfani che ha tolto dalla strada e aiutato a crescere, il cibo e una casa sono stati beni secondari rispetto al prezioso lavoro di ricostruzione di uno spirito cittadino fatto di inclusione, solidarietà e capacità di relazione. Figlia anche lei di quel Paese, Mahboba ha lavorato sul loro processo di formazione senza mai porsi come antagonista rispetto a modelli culturali duri da smantellare. Con la gradualità che ogni vero processo rivoluzionario esige, è partita dai bambini perché è da loro che può riprendere il cammino verso i valori della libertà e della democrazia.
Questo matrimonio d’amore a Kabul è stato dunque una piccola-grande vittoria, un passo avanti verso il superamento di barriere ataviche e incrostazioni millenarie che le guerre e i giochi di potere vogliono mantenere intatti. Il burbero padre di Fatemeh si è dovuto arrendere, l’amore ha vinto e Mahboba, sorridente nel bellissimo vestito bianco orlato d’oro della festa, sa che un’altra barriera è stata superata.
La radiosa sequenza finale del matrimonio, piena di luce, colori, paillettes, canti e danze, gli sposi mano nella mano e tutti i bambini a far festa, chiude la storia di Abdul e Fatemeh, ma non quella di Mahboba, una coraggiosa donna afghana che continuerà fino alla fine la sua lotta per la pace.