Pilar Palomero lavora come regista e insegnante da molti anni. La noche de todas las cosas, il film presentato all’LFF nella sezione corti curata da Rachele Pollastrini, è il suo ultimo lavoro realizzato durante il Master of Fine Arts in filmaking alla Film Factory di Sarajevo sotto la guida di Béla Tarr.
Prodotto da Inicia Films è una storia sulla perdita e sull’assenza dove il trauma di una bimba che sta per vivere la morte della madre viene dilatato attraverso gli oggetti e le sedimentazioni temporali di una grande abitazione di campagna, magazzino d’antiquariato per l’attività di famiglia, ma anche misterioso varco temporale.
La Palomero costruisce un cinema che riduce la parola ad un suono tra gli altri, evocando l’immagine del tempo attraverso i quadri appesi alle pareti, le cianfrusaglie di una cantina, i giochi della bimba con i riflessi di luce e quelli del nonno con un vecchio grammofono.
Il tempo, da concetto astratto, diventa quindi rappresentazione “concreta”, reso solido dalla presenza materiale della memoria e da un approccio documentale nell’uso sonoro della presa diretta, quasi un lavoro che dal cinema documentario passa ad una forma di design aurale, stratificazione di voci e rumori capaci di rendere palpabile il silenzio.
È impossibile non scorgere l’influenza del cinema filosofico di Victor Erice e per risonanza, del realismo magico di Antonio Lòpez Garcìa, proprio nel tentativo di comprendere il mondo fisico attraverso quello che le cose nascondono. I luoghi, come nella pittura dell’artista spagnolo, sono evanescenti e improvvisamente diventano una possibilità della mente, mentre un quadro campestre si apre come finestra sul tempo.