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Madame Courage di Merzak Allouache – Venezia 72, Orizzonti

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Di un’Algeria “incapace di riconoscere la malattia da cui è stata colpita” torna a parlare Merzak Allouache dopo Es-Stouh (Les terrasses), film low budget in concorso a Venezia nel 2013.

Dopo le vite in bilico di squatters emarginati sulle terrazze di un’Algeri contemporanea in crisi di identità, con Madame Courage, coproduzione franco-algerina presentata a Venezia72 nella sezione Orizzonti, lo sguardo si sposta sulla baraccopoli della banlieue di Mostaganem, e la coralità di Es-Stouh cede il posto alla solitudine di Omar (Adlane Djemil).

Adolescente quasi border line, carattere instabile, vita solitaria, estranea a qualunque forma di presidio, familiare e sociale, Omar assume compresse di Artane, un farmaco anticolinergico molto diffuso in farmacia per la cura del Parkinson e trasformato in droga per facilità di reperimento a basso costo. Produttore di deliri e allucinazioni nei tempi mediamente lunghi, Artane dà inizialmente sensazioni di invincibilità. Da ciò il nome in gergo di madame Courage, etichetta fantasiosa e pertinente nata dall’uso massiccio di ampie frange giovanili del Paese.

“Adolescente ai margini della società, il ragazzo sperimenta insieme a migliaia di altri emarginati la miseria sociale e psicologica, che diventa terreno fertile per la violenza” dichiara il regista.

Anello tra i più deboli di una realtà marginale dove la mortale desolazione degli agglomerati urbani convive con la spavalda euforia di sbandati di ogni età, Omar è uno specialista in scippi, borsette o catenine d’oro facili da trasformare in denaro presso incettatori sparsi ad ogni angolo. Disfatto dalla droga, passa per casa (meglio, baracca fatiscente) solo per esserne buttato quasi sempre fuori dalla madre con epiteti del tipo: “Via di qui, figlio di cane puzzolente!”. Il resto del suo tempo si consuma bighellonando senza meta nel caos di una periferia degradata, dove mucchi di spazzatura possono anche diventare un comodo giaciglio per dormire. Solo una corsa al mare, di tanto in tanto, lo ferma in campo lungo, ripreso di schiena, seduto su uno scoglio a guardare lontano. Di Omar sentiamo appena la voce, vediamo invece molto bene i suoi occhi. Sono quelli che incontreranno lo sguardo di Selma (Lamia Bezouaoui), liceale che vive la sua tranquilla vita piccolo borghese tra scuola, amiche e famiglia protettiva. Se il protagonista è Omar con la sua condizione di escluso da qualsiasi contesto familiare e sociale, l’antagonista è Selma, con la sua catenina d’oro al collo, strappata mentre cammina allegra con le amiche mangiando un gelato. Il corto circuito s’innesca fulmineo e piega la prospettiva marcatamente politica del reportage documentario verso la tenerezza lancinante e disadorna di una delicatissima relazione tra vite senza speranza.

Cineasta tra i più rigorosi nel portare avanti un impegno sociale che si coniuga perfettamente con una ricerca artistica che trae forza da immagini crudamente sovversive, Allouache evita con determinazione derive sentimentali. La condizione sociale ed esistenziale delle vite ai margini che descrive non autorizza aperture verso prospettive altre, la realtà è da così a meno di così, e una regia partecipe e rigorosa come la sua non intende tradirla con palliativi consolatori.

Quel che conta è portare in primo piano, e lo fa con la misura e l’intelligenza di chi sa di cosa parla e intende farlo con totale onestà, la spinta verso un mondo diverso che comunque ancora c’è, sopravvive e riesce a farsi faticosamente largo fra le secche di una vita totalmente deprivata.

E’ l’amore, nonostante tutto, il bisogno di vedere l’oggetto amato, anche se da lontano, sotto la sua finestra, dormendo sulla spazzatura, rischiando le botte del fratello della ragazza. Selma è il sogno impossibile, il mare che non attraverserà mai. Madame Courage sarà la compagna di Omar fino alla fine.

Scrittura di rigorosa essenzialità, anche per i giovani di Allouache possono valere le parole illuminanti che Tadao Sato usò per i “crudeli” giovani di Oshima Nagisha: Quei giovani non vengono presentati né come tristi vittime della società né come coraggiosi ribelli. In una società cattiva come questa, la loro ribellione assume semplicemente la forma di delinquenza gratuita, ed è questo l’elemento “crudele” della loro giovinezza”. (Il film giapponese dagli anni sessanta agli anni ottanta, in Cinemania, 1983)

 

 

 

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