Jonathan (Jon) Raymond torna a scrivere per il cinema di Kelly Reichardt con quella semplicità che potremmo definire essenziale, e che ha sempre consentito all’autrice Americana di sviluppare dei veri e propri “saggi” visivi di accuratezza etnografica sulle radici del’Oregon. Ancora una volta parte dal paesaggio e si fa consigliare dal suo sceneggiatore le location, tutte intorno ad una fattoria biologica di Applegate Valley, nell’Oregon del sud e di proprietà di alcuni amici di Raymond. Anche in Night Moves la relazione con l’ambiente diventa nodale per lo sviluppo dinamico dei personaggi, tanto che il nuovo lavoro di Kelly Reichardt sembra una versione oscura e rovesciata di Old Joy, il film interpretato da Will Oldham e premiato al Sundance film Festival nel 2006, perchè alla scoperta di un territorio naturale, anche attraverso le sue caratteristiche più dure o ostili, la Reichardt sembra guardare a quella posizione liminale che separa le radici, anche mitologiche, di una nazione dall’insediamento di alcuni complessi industriali, osservati spesso con un occhio attento alla morfologia del territorio più che alle conseguenze di un pamphlettino morale.
Se il deserto di Wendy & Lucy fatto di ipermercati e ampi parcheggi, dissimulava la presenza circostante della natura in una relazione con l’individuo di totale scollamento e alienazione, quello di Meek’s Cutoff era al contrario la mappatura di una rifondazione originaria dello sguardo, rileggere la natura antropologica del western attraverso le sue caratteristiche morfologiche, cambiando la soggettiva da quella dei padri fondatori, ad una più stratificata osservata dalle madri fondatrici.
Lo abbiamo detto più volte; il cinema di Kelly Reichardt è un cinema fortemente politico a partire da un’estrema scarnificazione visiva che diventa fortemente visionaria. Night Moves comincia da qui, le ragioni di un gruppo di ambientalisti radicali non vengono approfondite perchè l’ambiente stesso, con le sue mutazioni incongrue, è un sistema incomprensibile; quello che conta per la Reichardt è l’approccio immersivo, comprendere movimenti e azioni, cercare di capire come avrebbero potuto agire i suoi personaggi in un contesto estremo, lasciandoli liberi di interpretarlo.
In questo senso, Night Moves disinnesca proprio l’organizzazione del film di denuncia, è un viaggio oscuro attraverso la complessità dell’ambiente Americano, dove i confini tra natura e cultura, non importa se “negativa” o “positiva”, sono inestricabili. Quando i tre ambientalisti si avvicineranno alla diga idroelettrica per piazzare l’esplosivo preparato clandestinamente, la Reichardt filma una sequenza scabra ma ricca di segni e premonizioni confuse; il colosso di cemento è osservato come un minaccioso e impenetrabile segreto naturale, al contrario, la possibile presenza di un campeggiatore nella zona, ignaro di quello che sta per succedere, sarà considerata come un ostacolo, un’anomalia.
Da qui in poi, Night Moves prende una straordinaria deriva interiore e invece di spiegare il senso di colpa, lo materializza attraverso ambienti, camere d’albergo, luci notturne, e la musica acusmatica di Jeff Grace, ormai collaboratore fisso della Reichardt. È come se fosse un crepuscolare film di spionaggio dove l’unica cosa da spiare o da scoprire è la sostanza visionaria di una condizione paranoide; uno slittamento geniale che sgretola l’integrità di un’ideale progressista proprio a contatto con l’ininterpretabilità di una morfologia complessa, irriducibile rispetto a qualsiasi semplificazione morale.
Viene in mente, anche solo per gioco associativo, un altro Night Moves, quello di Arthur Penn, pellicola crepuscolare e atmosferica, decostruzione inesorabile del processo di detection verso una resa visionaria della paranoia; un procedimento non dissimile da quello che la Reichardt compie non solo sullo scheletro del film di impegno civile, ma anche su quello più generico del cinema indipendente americano, troppo spesso votato ad un certo pauperismo indie-minimalista equivocato per un segno rigoroso della scrittura. Al contrario il cinema della Reichardt è coscientemente ellittico, allusivo, sviluppato a partire da una sottrazione del dialogo inteso in senso tradizionale, si serve dei molteplici segni dell’ambiente e li fa reagire con l’azione dei personaggi, in una direzione che de-costruisce l’idea di “completezza” che a volte lo spettatore si aspetta da un film.
Jesse Eisenberg (nella parte di Josh) è straordinario nel riuscire ad esprimere questo stato di passaggio con quel minimalismo impercettibile che alla Reichardt piace tirar fuori dai suoi attori, senza l’appiglio di dialoghi e occasioni didascaliche che Raymond riduce ad uno scheletro, interessato com’è ad altra forma di scrittura che non includa necessarimente la parola.
L’ambiente a un certo punto sovrasta Josh con codici intraducibili, l’arena dell’omicidio, paradossalmente, sarà un giardinetto Zen, un contesto circoscritto dove la natura è re-inventata artificialmente con suoni e armonie sinestetiche; al sicuro dal mondo esterno, dentro l’immagine ideale di un ambiente che non ha subito traumi morfologici, Dana (Dakota Fanning), trova la morte.
Kelly Reichardt con Night Moves firma una delle sue opere più scure e belle, e si conferma come una delle autrici più interessanti del panorama cinematografico Statunitense.