Una parte della storia di Ostia, dalla fine degli anni novanta fino ad oggi è forse rappresentata dal recente arresto di Mauro Balini e dal crollo di tutto il progetto che gravitava intorno al grande progetto del porto turistico. I traffici illeciti, gli scontri tra la famiglia Triassi e il clan dei Fasciani per il controllo della droga, le gerarchie criminali che si succedono nella zona. Prima ancora che emergesse il sommerso, c’era il desiderio Veltroniano di un’Ostia ricca e riqualificata, quella sognata nel secondo Anni ’90 di Oldoini da Massimo Boldi e Nadia Rinaldi, proprietari di un Bar e appassionati di serie televisive, le stesse con cui si arricchirà lo zio di Balini, Vittorio, imprenditore morto nel 1999 che fece una fortuna vendendo i diritti di Dinasty e Dallas a Silvio Berlusconi.
L’ultimo film di Claudio Caligari, finito di montare poco prima della sua morte, è in qualche modo la radiografia più oscura di quegli anni, l’effetto di quella cultura politica che non sembra più possibile tamponare e che agiva sulla suburbia in modo distruttivo. Non essere cattivo racconta l’Ostia del 1995, vicina e lontanissima da quella di Amore Tossico, una trasformazione che Caligari stesso aveva definito in modo molto chiaro, attraverso l’introduzione di un desiderio “alieno” per la mentalità di borgata, quello del lavoro.
E il suo film, oltre che l’esplosione delle droghe sintetiche, individua nel lavoro quella che il regista di Arona chiamava “l’omologazione dell’alterità borgatara”, il sogno di stabilità che diventa il riflesso di un’induzione , tanto che nel film si spacciano droghe, mobilia, televisori, videopoker e possibilità d’impiego con la stessa forza centripeta, un girare a vuoto che colpisce Vittorio (Alessandro Borghi) e Cesare (Luca Marinelli) in modo diverso, ma che li aggancia allo stesso immaginario rispetto al quale non riescono a definire provenienza e differenze. Già morti entrambi, come la sorella di Cesare e la piccola nipote che della morte è l’immagine visibile, puntano alla realizzazione di un mondo che non è il loro e che li rende prigionieri, molto più della droga, di una coazione a ripetere.
Mentre Cesare, tra voglia di vivere al massimo e cupio dissolvi, muore sullo sfondo di un paesaggio tropicale appeso alla parete, come in molte camere dello scorso ventennio, accasciato sulla poltrona dell’appartamento camuffato con i mobili di fortuna, Vittorio modella la stessa illusione rimanendoci completamente invischiato e ritagliandosi uno spazio famigliare; l’inizio di una nuova schiavitù fondata sul lavoro, ingranaggio che alimenta il potere e prepara il terreno alla nuova criminalità, quella delle imprese edili e delle attività turistiche. “I soldi non bastano” dirà Linda (Roberta Mattei) a Vittorio, non sono sufficienti per costruire uno standard, un paradigma, un sistema che inquadri gli individui nell’impostura di una vita dignitosa.
Non essere cattivo ha tutta la libertà del cinema “raro”, non solo come frequenza, di Claudio Caligari, in quel continuo andirivieni tra “trucicomico” e anti-naturalismo brechtiano, dembulazioni a vuoto e scambio vitale tra gli attori, il desiderio di una vita senza confini e la morte che incombe e sottende ogni immagine; un coraggio necessario per sabotare quella “giusta distanza” del cinema Italiano coevo, così ordinatamente atterrito dagli sconfinamenti e dalla semantica popolare, proprio quella cacciata a forza dalle nostre produzioni, ormai da trent’anni.