martedì, Novembre 5, 2024

Nuovissimo Cinema cileno: una riflessione a margine

Affrontare la questione del racconto cinematografico mantenendo intatta la componente fantastica e sensuale e mettere in moto processi di empatia con gli spettatori fino a  renderli parte di un evento che loro stessi contribuiscono a creare (è quello che Freedberg definisce “stati soggettivi del destinatario proiettati sull’opera”) è la scommessa vincente di questo cinema anche nei lavori del giovanissimo Matías Bize, classe 1979.  Sábado, opera prima del 2003, segna l’inizio di questa stagione nuovissima.

Low budget di 30.000 dollari, un unico piano sequenza di 65 minuti, Sábado mette in scena Blanca (Blanca Lewin) che, in abito da sposa e furente come una Menade, attraversa la città accompagnata da un cameraman che riprende ogni scena. Ha appena saputo che il futuro sposo (Victor Montero) aspetta un figlio da un’altra e, in preda ad isteria ipercinetica, si muove facendo registrare tutto quello che accade dalla videocamera al seguito. Impossibile elencare la serie spettacolare di gag, incontri e scontri che zampillano senza tregua nell’arco di un’ora. Si viene cooptati al seguito della sposa mancata, si entra e si esce da appartamenti, si percorrono i vialetti fioriti della Santiago bene, si ride dello sposo che, strappato alla doccia, saltella nudo per strada, e infine ci si trova a pensare che, sì, anche questa è vita, una commedia umana che sa far nascere la risata dal dramma e continua a stupirci, farci pensare e, magari, divertirci.

Ancora intelligenza ironica e capacità di prendersi in giro ne  La vida me mata (2007) di Sebastian Silva, autore, nel 2009, del fortunato La nana, ritratto di famiglia (con domestica) in un interno. Raquel, la nana, domestica tuttofare, è Catalina Saavedra, superba interprete di un personaggio che Silva guida con regia sicura e sceneggiatura raffinata, affiancandole un cast di interpreti mai fuori registro, disegnando per  ognuno un ruolo con naturalezza, sobrietà, efficacia espressiva. Presente anche ne La vida me mata, l’attrice dà vita qui, con gli altri, ad un gioco sottile, spesso surreale, di figure stralunate, trattate con vena satirica, in continua alternanza di toni fra commedia e humor nero.

 

Gaspar (Gabriel Díaz) non riesce ad elaborare il lutto per la prematura scomparsa del fratello maggiore e vorrebbe morire anche lui.Il nonno è vicino alla morte e la madre, viva, è però come fuori della realtà,in preda ad una specie di demenza senile che la fa fluttuare inebetita da un punto all’altro dello spazio. Unico personaggio solido è la sorella. Un altro lutto prematuro mette insieme i personaggi più disparati al funerale, e lì entra in scena Alvaro (Diego Muñoz) che Gaspar crede reincarnazione del fratello.Un gran pensare alla morte produce un solido attaccamento alla vita, e quando la morte arriva davvero diventa un gentile fantasma che si allontana in punta di piedi, col morto per mano.

Cinema delle emozioni, dunque, ma non esibite,spesso addirittura esorcizzate dal ricorso ad un umorismo che scaturisce, incontenibile, da quel comico del quotidiano che è segno di maestria saper registrare.

La vida de los peces, secondo film di Bize presente al festival e suo ultimo lavoro datato 2010, vincitore, fra i numerosi premi collezionati, del prestigioso Goya Award, conferma il talento del regista nel misurarsi con una notevole varietà di registri linguistici. Andrés (Santiago Cabrera) vive in Germania da 10 anni ed è tornato in Cile per chiudere con la storia passata e trasferirsi definitivamente a Berlino. Con abile scelta narrativa Bize colloca il personaggio nel finale della storia, una festa fra amici prima dell’addio. Lì Andrés incontra Bea (Bianca Lewin) la donna lasciata, allora, ma ancora amata e inconsapevolmente cercata. I due giovani passano di stanza in stanza fra persone che sono il loro presente, ma da cui sembrano separati da un diaframma. Il passato si snoda a ritroso, poche parole, brevi pennellate che tessono la sostanza di una storia d’amore e di difficoltà a viverlo, desiderio di pensare al futuro e malinconica certezza della propria impotenza. Tra una storia ormai archiviata sotto le stratificazioni del tempo e un futuro che si arresta sul nascere nei due sguardi, carichi di tutte le parole che è impossibile dire, il sipario trasparente di un acquario casalingo, pieno di coloratissimi pesci tropicali, fra loro e la macchina da presa. E’ il grande freddo in cui si nuota a vista, come i pesci bellissimi che non hanno più la libertà del mare.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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