venerdì, Novembre 22, 2024

Olive Kitteridge di Lisa Cholodenko – Venezia 71, Fuori Concorso

Nelle quattro puntate di cui è composta la mini-serie HBO diretta da Lisa Cholodenko e tratta da una raccolta di racconti di Elizabeth Strout,  tutto si muove intorno alla vita e ai rapporti umani di Olive (Frances Mcdormand) , donna dal carattere apparentemente freddo e burbero ma che nasconde un’intrinseca fragilità.

Percorrendo tre generazioni emergono tutti i rapporti che orbitano attorno ad Olive, quello con il marito Henry (Richard Jenkins), molto dolce e remissivo di professione farmacista, talvolta dongiovanni sconclusionato, e poi il figlio Christopher (John Gallagher Jr.), con il quale ha un rapporto molto complicato, fatto di incomprensioni: da una parte la madre si dimostra molto dura nei suoi confronti rivolgendogli numerose critiche, e dall’altra il figlio ne risente sviluppando una certa insicurezza e sfiducia nei confronti della madre.

Oltre a questi, che sono i rapporti più importanti e decisivi nella vita di Olive, ci sono tutti gli altri abitanti della quieta cittadina rurale del Maine nel quale vivono i Kitteridge e tutti i personaggi che ruotano intorno alla famiglia: rapporti che Olive continua a rifuggire con la sua costante anaffettività che si dimostra una variabile importante della sua insicurezza, motore principale del suo astio nei confronti di qualsiasi forma di socialità “normale”.

Le quattro ore di durata servono alla Cholodenko per avvicinare sempre di più lo spettatore all’esperienza di Olive, provando a metterci nei suoi panni, ci sentiamo davvero partecipi dei numerosi dolori che costellano la sua esistenza: la morte causata da un incidente stradale dell’uomo con il quale Olive aveva intessuto un rapporto romantico mai consumato e per cui “si è sempre trattenuta, perché è così che si fa quando si è sposati”, il progressivo allontanamento e raffreddamento del rapporto con il figlio che ad un certo punto decide di trasferirsi in un’altra città dopo un matrimonio fallito, e infine la malattia e la successiva morte del marito Henry che colpito da un ictus perde l’uso della parola, fatto che tra gli altri stravolge profondamente la protagonista inducendo in lei l’effetto di un ulteriore irrigidimento e di perdita della speranza nei confronti degli altri e più in generale della vita, in seguito tradotto in un suo slancio di sincero amore per la vita.

In apertura ci viene presentato con un flashforward Olive ormai in età avanzata, mentre si dirige nel bosco e si punta una pistola alla tempia; qui sembra che la storia sia già segnata dalla riluttanza e dal rifiuto di un’esistenza difficile e da un dolore troppo pesante da sopportare. Ma è proprio questo che si vuole confutare: la vita si presenta come qualcosa di difficile e imperscrutabile, fatta da rapporti non sempre determinati dalle scelte, come quelli che si instaurano all’interno del nucleo famigliare, oppure complicati nella loro gestione e nel loro mantenimento, tutto questo mentre le pene e i dolori vengono a bussare alla nostra porta più spesso di quanto non lo facciano le gioie, ma proprio per questo, fanno parte di noi ed è naturale accettarli.

Olive ce lo dimostra con il suo modo di essere e il suo vissuto, che la condurrà ad un graduale smussamento del suo carattere spigoloso, anche grazie alla figura di Jack Kennison (Bill Murray) tanto insolente da riuscire a spiazzare persino l’inossidabile acidità della donna, riuscendo a immetterle nuovamente linfa vitale, anche attraverso la condivisione di un dolore comune come quello per la perdita dei rispettivi coniugi.

Grazie alla sceneggiatura di Jane Anderson, qui al suo primo progetto completo, dopo una serie di sceneggiature scritte in modo casuale per alcuni episodi di Mad Men, The Wonder Years, Raising Miranda, Olive Kitteridge è un adattamento molto potente dei racconti della Strout, raffinatissima scrittrice e profonda conoscitrice dell’america rurale dove per altro è creciuta. Lisa Cholodenko (Six Feet Under, The L World) riesco molto bene a collegare la struttura episodica del lavoro della Strout con una forte caratterizzazione dei personaggi affidati ad attori dal grande talento, capaci di grande intensità e spessore nella resa psicologica.

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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