venerdì, Novembre 22, 2024

Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller, il DVD: la storia vera di un “mostro” molto normale

Trentotto anni e non li dimostra. Questo va detto, prima di ogni altra cosa, di Pasqualino Settebellezze che la Wertmüller girò, nel ’76, quasi per caso (ma si sa quanto il caso sia poco casuale). Pasqualino esisteva, era l’ “acquarolo” di Cinecittà, quello che girava con la tanica d’acqua e i bicchieri di plastica fra i set, e un giorno raccontò a Giannini, che era lì a girare qualcosa, la sua lunga storia. E nacque il film, da otto ore di racconto agghiacciante, vero, intriso di napoletanità verace, ma anche capace di rispecchiare un’epoca triste dell’Europa intera.

La genesi di Pasqualino la racconta Giannini negli extra al DVD, ed è un complemento importante ad una visione serrata, che non dà tregua, di un’opera ancora viva e grondante di umori, dove al comico da avanspettacolo si fonde il tragico da tragedia greca, in un melting pot di linguaggi che dal napoletano dei bassifondi al tedesco dei lager accende il sonoro del cuore del ventesimo secolo.

Pasqualino è un guappo napoletano che finisce in un lager nazista. In estrema sintesi la storia è questa. Tutto quello che succede fra i due poli estremi è affidato alla magnifica sinergia di forze fra Lina Wertmüller, con la sua regia nervosa, intransigente, capace di far convivere satira sociale con accenti di pietas profonda, Giancarlo Giannini che, un film dopo l’altro, si andava confermando attore versatile come pochi, Tonino Delli Colli e la sua magia fotografica, e una schiera di altre mani sapienti a collaborare alla stesura dell’affresco. Fra queste, Fernando Rey, poche apparizioni ma indimenticabili, il suo tuffo nella merda per morire disgustato da tutto quel che ha visto è un tocco da campione. Altra perla della collana il cameo di Roberto Herlitzka, deportato socialista incontrato alla stazione.

Un affresco d’altri tempi, quando il cinema era un lavoro di artigianato duro e sapiente, un primo piano era il risultato di un lavoro lunghissimo di luci, tagli e pose, e girare una scena necessaria, ma fuori orario, erano costi di produzione che aumentavano e rischi che si accettava di correre (una di queste scene è quella dei due violinisti che suonano nella luce livida del cortile dove le SS sparano agli internati, una visione d’Inferno che resterà negli annali del repertorio cinematografico sulla Shoah).

Pasqualino è il campione senza valore di un’italianità che attraversa intatta epoche e mode. E’ fratello unico di tante sorelle grasse e spumeggianti come la madre, e il loro onore, pressochè indifendibile, visti i tempi, è nelle sue mani unte di brillantina: “Ie so’ n’omm’ e onor’” , proclama con orgoglio poggiando il Borsalino sulla chioma unta. La pistola alla cintura arriva dove il fisico mingherlino fa cilecca, e così un bel giorno spara. L’infermità mentale è un modo per evitare l’ergastolo (dopo inutili fughe sui tetti dei quartieri spagnoli) e così uno squarcio sulla situazione manicomiale in Italia fra le due guerre è un’altra finestrella sull’orrore.

Arruolarsi volontario serve a uscire dal manicomio, ma poiché “non tutti sono dentro e forse neppure i veri”, come capita di leggere a volte sui muri di ex “case di cura”, Pasqualino andrà a combattere e vedrà i pazzi veri. Per scamparla e disertare ruberà le bende a un morto e se le avvolgerà sulla testa,  ed è l’incipit del film, che sceglie di allineare presente e flash back  fino a confluire nell’epilogo, il ritorno a casa, l’ultimo primissimo piano sul suo viso ormai cereo e i suoi occhi allucinati che guardano in macchina.

In fuga con un commilitone, disertore anche lui, fra i boschi lungo il Reno ( “e chist’ ca  è?” “ E’ il Reno, forse è la Renania.” “E che Germania è?”) non sfugge al pattugliamento finendo così in un lager. Carcere, manicomio e lager: la storia di Pasqualino è un manuale di sopravvivenza e resistenza umana nella fase centrale del cosiddetto “secolo breve”. Per farcela servono doti di incoscienza, scetticismo venato di autentico ma involontario cinismo, e una voglia senza limiti di vivere

Si può diventare anche mostri, così, e Pasqualino lo diventa, solo che è un mostro come quasi tutto il resto dell’umanità, quindi non crea orrore. Incapace di fare l’eroe, trova tutti i mezzi per sopravvivere, e riesce. Una volta a casa diffonderà il suo nuovo credo, maturato negli anni del terrore: bisogna imparare a difendersi. Alla ragazzotta che l’ha aspettato consegna il suo messaggio: fare figli, molti figli, per difendere i confini dall’attacco dello straniero.

Trentotto anni ha questo film, e non li dimostra. Quattro nomination all’Oscar, musiche originali di Enzo Jannacci ,che chiude cantando sui titoli di coda, con quella voce tra disperata e sgangherata: “Tir’ a campa’ “.

Il DVD di Pasqualino Settebellezze è disponibile dal 25 giugno scorso, ed è la prima volta che il film di Lina Wertmüller viene stampato su supporto digitale, grazie all’iniziativa di Mustang Entertainment e la distribuzione CG Home Video. L’incontro con Giancarlo Giannini  contenuto negli extra (che riportano anche  la filmografia completa della regista e dell’attore) è prezioso complemento al film per la sua storia, i personaggi creati e il metodo di lavoro realizzato. Giannini racconta particolari inediti del film e  del suo lavoro sulla figura del protagonista, soffermandosi sul lungo sodalizio  con la Wertmüller e sulla sua visione del mestiere di attore.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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