giovedì, Novembre 21, 2024

Paura nella notte di Jimmy Sangster: recensione

"Paura Nella Notte", terza e ultima regia cinematografica di Jimmy Sangster, prolifico sceneggiatore della Hammer. La recensione

Paura nella notte” è l’ultimo dei thriller della Hammer, la nota produzione inglese specializzata per lo più in tutte le declinazioni del gotico, ma è anche l’ultima regia cinematografica per Jimmy Sangster, prolifico sceneggiatore britannico e forza creativa degli studios fin dalla fine degli anni ’40. La serie dei thriller di matrice Hitchcockiana, comincia per la casa di produzione inglese nel 1958 con “The Snorkel” , bizzarra variante de “il delitto perfetto” ambientata ad Alassio, ma prende una piega più estrema a partire dal 1961  con “Taste of Fear”, scritto dallo stesso Sangster per Seth Holt e primo di una dozzina di produzioni targate Hammer che spostano progressivamente alcuni elementi gotici in un contesto noir, contaminazione desunta da “Psycho” di Bloch/Hitchcock e che in forma più o meno esasperata sarà il propellente per titoli come Maniac, Paranoiac, Nightmare, Hysteria, The Nanny e Crescendo, per limitarsi ai film scritti dallo stesso Sangster fino al 1970.

Fear in the night” come si diceva, è la parte conclusiva di questo filone circoscritto all’interno della strategia complessiva Hammer e oltre alle influenze citate recupera l’ispirazione originale di “The Snorkel”, imitazione sin troppo esplicita del noto romanzo di Pierre Boileau e Thomas Narcejac intitolato “Celle qui n’était plus” e adattato per lo schermo da Henri-Georges Clouzot nel suo “Les Diaboliques”; tutti ingredienti che Sangster recupera per la sua terza regia con l’intenzione di orchestrare una deviante educazione sentimentale che osserva con spietata lucidità la fine del sentimento amoroso nel contratto matrimoniale, rimanendo a metà tra crudo realismo e soprannaturale con un’ambiguità che mette al centro il personaggio di Peggy, una stralunatissima Judy Geeson, non molto diversa nella sua solitudine dall’Audrey Hepburn di “Wait Until Dark” o dalla Mia Farrow di “Blind Terror”.

Ed è proprio la sequenza introduttiva sui titoli di testa che ci suggerisce il modo in cui Sangster mescola abilmente gli ingredienti del genere per elaborare un’atmosfera sospesa; le prime immagini ci mostrano le stanze e i corridoi di un edificio scolastico completamente vuoto, mentre le voci dei ragazzi si sovrappongono allo spazio, quasi fossero ectoplasmi, frammenti di una memoria ormai sepolta nel tempo. La panoramica che colloca la scuola in un paesaggio bucolico terminerà poco dopo sul cadavere abbandonato di un uomo impiccato al ramo di un albero; è una delle tante sequenze, lentissime e subdole, che Sangster costruisce come segni dell’irrazionale che penetrano il torpore quotidiano. Quello che interessa all’autore inglese è quindi introdurci in modo ambiguo all’interno di un menage famigliare prossimo alla distruzione. Siamo subito a casa di Peggy e  Robert (Ralph Bates), uno psichiatra visita la donna e la rassicura sulla forma delle sue visioni, si tratta di un collasso nervoso, e l’unica cura possibile è il riposo, occasione per dimenticarsi la brutta aggressione subita la notte precedente proprio all’interno dell’abitazione, relegandola nella dimensione delle fantasie mentali, così da consentirle di poter seguire in tutta serenità il marito nel suo lavoro come insegnante, per un nuovo incarico nella campagna britannica all’interno di una grande e vecchia scuola maschile dove la coppia andrà ad abitare.

Il primo scontro di Peggy con l’ambiente alimenta l’alterazione del suo stato mentale, esattamente come nei titoli di testa, la donna riesce a sentire distintamente le voci degli studenti, ma una volta penetrata fino all’interno dell’aula da dove provengono i rumori, lo spazio risulterà vuoto. Con un successivo slittamento di senso e dopo averci introdotto una realtà instabile, Sangster presenta il personaggio interpretato da Peter Cushing, il rettore della scuola Michael Carmichael, il cui primo incontro con Peggy, esattamente come i successivi, estremizzerà la surrealtà che circonda la donna. Apparso come un fantasma, Carmichael spiega a Peggy la presenza delle voci, vecchie registrazioni effettuate negli anni di piena attività scolastica dell’istituto e che il rettore ama riprodurre negli spazi vuoti dell’edificio, come corroborante per la memoria e per il cuore. Cushing viene coinvolto da Sangster nella lavorazione di “Paura nella notte” per soli quattro giorni, girando tutte le sequenze dove è presente solamente con la Geeson, una scelta “economica” che accentua l’astrazione del setting, dove i personaggi che abitano la scuola sembrano davvero provenire da una dimensione parallela; non sarà di segno diverso l’incontro di Peggy con la moglie di Carmichael interpretata da una Joan Collins nel fiore della sua migliore perversità; in una sequenza degna del Bunuel più crudele,  mentre Peggy ammira la pace naturale che la circonda, Molly uccide un coniglio con una fucilata e a sangue freddo;  avvicinatasi alla giovane donna le mostra il bottino di caccia con l’intenzione consapevole di farsi beffe della sua ingenuità.

Sono brevi e intensi squarci di una realtà sull’altra che Sangster dosa abilmente in un film che non insegue la tensione attraverso il ritmo, ma al contrario astraendo il tempo dell’immagine, in modo da evidenziare gli oggetti, i dettagli, la forza dei primi piani; elementi che erompono nel clima bucolico del film come nella miglior tradizione surrealista: la protesi di Carmichael e i suoi occhiali spaccati, il coniglio morto, le aule vuote, la sconnessione tra suono e immagine, e sopratutto la lenta erosione di un genere, scarnificato a partire dai suoi elementi costitutivi, tutti orchestrati fuori contesto o in una modalità disarmonica rispetto alla costruzione di un possibile climax.

Nella costruzione di alcune soggettive legate al personaggio di Carmichael Sangster si fa certamente influenzare dal “giallo” europeo e in particolare italiano, interpretando a modo suo quella stessa astrazione che nel cinema di Dario Argento si era già manifestata due anni prima, nella sua personalissima interpretazione dello spazio e del cinema di Michelangelo Antonioni, anche se Sangster in questo caso guarda maggiormente a Mario Bava.

Tra i film diretti da Sangster, “Paura nella notte” è sicuramente il migliore, ma è anche la sintesi più estrema, coraggiosa e sperimentale di un decennio di thriller prodotti dalla Hammer; la perdita progressiva del controllo soggettivo esperita dal personaggio interpretato da Judy Geeson è un’immagine dolorosissima della disillusione, una sconnessione con la realtà che il volto malinconico dell’attrice britannica esprime con un malessere e una perdita di se difficile da dimenticare.

L’edizione DVD edita da Sinister Film e distribuita da CG Home Video colma una lacuna essenziale; “Paura nella notte” era infatti assente dal nostro mercato dai tempi di una vecchia VHS della Domovideo, e anche se i contenuti extra del DVD sono purtroppo al minimo sindacale, con la sola inclusione di una breve video presentazione curata da Lugi Cozzi, vale assolutamente  la pena procurarsi una copia di questo piccolo e stimolante film dimenticato.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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