Al centro di un axis mundi, Per amor vostro mette in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti attraverso Anna (Valeria Golino), la cui forza sciamanica genera continue spaccature nella realtà; non importa che questa energia sia apparentemente annichilita da una vita fatta di compromessi, perché il suo sguardo soggettivo, come quello di una straordinaria Valeria Golino, è ancora capace di incendiare e di incendiarsi.
Giuseppe M. Gaudino la crea e la lascia libera, seguendola con una prossimità documentale, ma collocandola in quella dimensione aurorale evocata dal bianconero. Il colore erompe nell’inquadratura quando spalanca una finestra, cercando di lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte, ma non è una prospettiva magrittiana, perché Gaudino senza delimitare, si immagina un multiverso dove un mondo si rovescia dentro l’altro.
Anna vive tra il nuovo lavoro come suggeritrice in uno studio televisivo e la vita famigliare. Ridotta a “cosa da niente” dal marito violento e compromesso con la criminalità (Massimiliano Gallo), cerca di mantenere la dimensione del gioco con i tre figli, Santina (Elisabetta Mirra), Cinzia (Daria D’Isanto) e Arturo (Edoardo Crò), un adolescente sordomuto che le consente di coinvolgere tutti in un dialogo inclusivo. Nello studio televisivo scrive manualmente su grandi cartelli i dialoghi per una soap, precisa e metodica distingue i colori, sottolinea le battute e associa le differenze grafiche a ciascun attore.
L’occasione di un riscatto personale nasce da questa nuova possibilità e dalla necessità di mettersi nuovamente in contatto con l’energia più viva della sua storia, quando da bambina veniva sospesa tra il campanile e il palazzo antistante per fare il volo dell’angelo durante la festa dell’Assunta.
Gaudino entra ed esce dal presente e dal passato di Anna con la stessa libertà con cui trasforma un linguaggio nell’altro, seguendo l’andamento della musica popolare. Alle ballate scritte dagli Epsilon Indi nella dinamica dialogica tra coro e immagine, sovrappone una germinazione che esonda da questi stessi snodi narrativi generando un cinema inarrestabile e danzante che entra tra le cose, abita improvvisamente i passeggeri di un autobus, occupa le strade e fuoriesce da uno schermo televisivo nel gioco di Anna con i suoi figli mentre con la lingua dei segni replicano una versione di “Però mi vuole bene” del Quartetto Cetra.
Se le liriche di Tata Giacobetti sembrano fare da contrappunto cinico a quella vita senza amore che la figlia Santina le rinfaccia, Anna non può in effetti vivere senza musica, e quando può l’accende, quasi fosse l’emergere di una coscienza interiore che può metterla in salvo.
Oltre alla lingua dei segni, a quella dei Cetra e al colore che erompe, Anna interpreta anche l’essenza dei dialoghi che scrive per gli attori, reagendo a quei testi e abbandonandosi al potere generativo delle parole, ulteriore livello che Gaudino inserisce attraverso alcune splendide sequenze dove in un solo spazio coesistono molteplici strati di realtà.
L’unico diaframma che separa Anna dalla messa in scena approntata per l’attore Michele Migliaccio (Adriano Giannini) è appunto il gigantesco gobbo che tiene in mano, leggero come un foglio di carta. Non è una relazione binaria tra realtà e finzione o peggio ancora, una dimensione semplicemente metanarrativa; Gaudino rifugge l’esercizio di stile o la riflessione meccanica sul dispositivo, penetrando questo spazio con una furia selvaggia e l’idea, sempre molto forte, che si tratti di un mondo palindromo come in alcuni film di Jacques Rivette dove il teatro (si) sfonda, letteralmente, nella realtà.
Ecco allora che in questo straordinario film, fatto di continue trasformazioni, quasi a chiarire una volta per tutte la natura vertiginosamente transitoria del cinema mentre convenzionalmente ci si attarda a distinguere documento da fiction, un salto nel vuoto diventa quello del tempo, l’attraversamento di uno strato che mette in comunicazione mente e schermo, senza più rete, senza più palpebre.