Il 30 ottobre del 1938 la CBS trasmette un annuncio che documenta in diretta un’invasione aliena. La voce è quella di Orson Welles, ma il diaframma tra finzione e realtà improvvisamente entra in corto circuito, e molti ascoltatori non rendendosi conto che la cronaca è in realtà un radiodramma adattato da “La guerra dei Mondi” di Herbert George Wells, si lasciano trascinare dal panico e da una violenta psicosi.
La transizione dal mondo reale a quello immaginario perde “la verginità” per la prima volta su vasta scala; per festeggiare questa data fondamentale nella storia dell’audiovisivo, abbiamo recuperato una delle recenti pubblicazioni relative alla filmografia di Orson Welles, il Blu-Ray di “Rapporto confidenziale”, il film più tormentato nella carriera del grande regista americano e sopratutto quello che più di altri, estremizza il concetto di relatività del reale. L’edizione recensita è edita da Pulp Video e disponibile nel catalogo CG Home Video da circa un anno.
Un labirinto senza centro. Così Jorge Luis Borges commentò Citizen Kane, il primo lungometraggio di Orson Welles. Un labirinto senza centro nel quale è lecito e naturale perdersi, seguendo i percorsi di una regia potenziata che ridiscute il linguaggio classico e definisce l’istanza autoriale come fulcro di ogni inquadratura e di ogni scelta di messa in scena.
È il trionfo dell’autore, in altre parole; trionfo che Welles persevera in tutti i suoi film, malgrado i gravi problemi di produzione che hanno accompagnato la sua avventura nel cinema. Anche Mr. Arkadin (Rapporto confidenziale in italiano) non si sottrae a questa regola anzi, per certi versi, accentua l’unicità del percorso wellesiano. Perché il film è forse il più vicino, per temi e atmosfera, a Citizen Kane, ed è sicuramente quello che ha avuto maggiori problemi economici e che è stato massacrato (per usare parole dello stesso Welles) in fase di montaggio.
Riproposto nel dvd in blu-ray della Pulp Video, Mr. Arkadin riporta al labirinto senza centro indicato da Borges. Da una piazza gelida e innevata di Monaco si passa con disinvoltura tra le nebbie del porto di Napoli. L’elemento del flashback irrompe fin da subito e trascina lo spettatore in una storia di menzogne, ambiguità e tinte fosche. Un uomo, sul punto di morire, sussurra all’avventuriero Van Stratten il nome di Gregory Arkadin, uno degli uomini più ricchi e influenti al mondo. La fatalità quindi avvicina i due uomini e Van Stratten, il cui unico scopo è quello di estorcere denaro a Arkadin, è chiamato invece a ricostruire il misterioso passato dell’uomo.
I motivi di richiamo a Citizen Kane sono evidenti: prima di tutto, come in una visione ciclica, la storia si genera da una mezza frase detta da un personaggio prima di morire; anche qui poi il teatro principale della vicenda è un castello avvolto dall’oscurità, all’interno del quale la macchina da presa si muove alimentando tensione, in un gioco di sottile equilibrio tra profondità di campo e movimenti “esplorativi”. Il film è alla ricerca di una verità, di una spiegazione razionale che però sfugge, non si svela, lasciando lo spettatore senza punti di riferimento. Emerge forte l’influenza kafkiana, motivo ricorrente nel cinema di Welles: la relatività del reale pone l’individuo nell’impossibilità di esprimere giudizi assoluti e apre una crisi il cui sbocco naturale è la degenerazione morale, la brama di potere e la corruttibilità dell’animo umano.
Mr. Arkadin è il secondo episodio della trilogia noir di Welles, iniziata con The Lady from Shangai e culminata nel celebre Touch of evil. Eppure, a ben vedere, Mr Arkadin si avvicina di più a The Third man, film di Carol Reed del 1948 nel quale Orson Welles è deuteragonista: nelle inquadrature claustrofobiche, nella volontà di tallonare i personaggi, quasi a non voler loro lasciare respiro, nelle nette scelte di campo, come ad esempio l’angolazione obliqua di molte riprese, si intuisce il mistero della vicenda. L’espressionismo della rappresentazione è il modo migliore per ricercare il significato di un film barocco, caratterizzato da scelte linguistiche marcate, da una radicalità nella scrittura che tende a far emergere l’intervento dell’autore. Immagini marginali, piani non convenzionali, passaggio disinvolto da immagini piatte a immagini profonde, perdita di coordinate stereotipate, gusto dell’eccesso sono tutti elementi di un’estetica cinematografica che non sempre è stata capita e apprezzata. Al di là delle disquisizioni teoriche e dell’importanza dell’esperienza di Welles nel processo di autonomia espressiva del cinema, ciò che salta agli occhi con maggiore evidenza è il rapporto conflittuale con l’industria cinematografica che, dopo averne fatto una sorta di enfant prodige, lo ha relegato ai margini del sistema, osteggiandone ogni progetto. Alla radice di tutto sta il clamoroso insuccesso di pubblico dei suoi due primi film (Citizen Kane e The Magnificient Ambersons), sui quali la RKO aveva investito tantissimo, facendo firmare all’allora esordiente Welles un contratto milionario, con la più totale autonomia in sede di scelte di regia.
Una storia, quella di Orson Welles e l’industria cinematografica, ricca di astio e di incomprensioni ma che non ha mai limitato la volontà del regista di sperimentare all’interno delle convenzioni produttive una nuova forma di cinema, basata sulla forza dell’immagine e sull’adozione di codici che esplorano in modo performativo lo spazio, con un punto di vista dinamico-espressivo. Il cinema di Welles, infatti, se da un lato non si libera della componente narrativa, dall’altro lato consolida la centralità dell’esperienza visiva, esaltando un connubio che tende a considerare il cinema come arte ideale del dialogo tra immagine e parola. Pochi altri registi si sono spinti oltre: Welles non limita il cinema né a arte narrativa né a arte visiva, ma crea una sintesi che sfrutta la plasticità dell’immagine per rafforzare il concetto di pluralità di linguaggi che è presente nel cinema. La questione sta nel modo in cui viene costruito e rappresentato il narrato. E, in ogni scelta di Welles, si rimarca la necessità della piena autonomia dell’autore.
L’edizione Blu-Ray proposta da Pulp Video ha un buon rapporto nella resa dei contrasti e rispetta ovviamente il formato originale 4/3 che su schermi di nuova generazione ovviamente riduce l’area visibile a quella centrale. Gli extra sono al minimo sindacale e includono il trailer di Quarto Potere e una galleria fotografica.