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Saint Laurent di Bertrand Bonello a Cannes 2014: lo stilista come un pittore

Il nuovo film di Bertrand Bonello in concorso a Cannes 2014 è dedicato allo stilista Yves Saint-Laurent e arriva a brevissima distanza rispetto al recente biopic di Jalil Lespert. Sono due film molto diversi, non solo per la cronologia degli eventi scelti, ma sopratutto per un’impostazione che stacca nettamente il film di Bonello dal formato tradizionale e agiografico scelto dal film di Lespert, una differenza che ha probabilmente spinto Pierre Bergé, lo storico compagno di Saint Laurent e co fondatore della Yves Saint Laurent Couture House, di “approvare” il film di Lespert e di non dare l’imprimatur a questo di Bonello, indubbiamente più creativo e personale.

È lo stesso Bonello a ribadire questa differenza di approccio in conferenza stampa: “Non mi interessano i confronti, preferisco di gran lunga concentrarmi sul mio lavoro e sul mio progetto. Ci sono due film sul mercato che parlano della stessa figura Storica, ok, ma francamente ho voluto concentrarmi sul mio senza pensare ad altro, scegliendo dieci anni dalla vita di Saint Laurent, quelli secondo me più stimolanti dal punto di vista creativo e personale, anche perchè in quei dieci anni cambia tutto nella società che lo circonda. Insieme a Thomas Bidegain, con cui ho curato la sceneggiatura, si è deciso che due ore e mezza di film non erano sufficienti per raccontare tutta la sua vita, era meglio per noi concentrarsi sugli aspetti più oscuri di un determinato periodo, perchè erano quelli più interessanti sotto vari aspetti”

E il Saint Laurent di Bonello vive uno strano connubio tra momenti più visionari ed elementi documentali: “volevamo mostrare il suo lavoro” ha detto Bonello ” e questo fa sembrare il film più vicino ad un documentario, insistere sulle mani, sul rigore che accompagna lo sviluppo delle sue creazioni, in questo senso coesistono due dimensioni, tra documentario e finzione, ed è un aspetto per me importantissimo”

La verosimiglianza come forma arida e pedissequamente legata ai “fatti” non interessa a Bonello, proprio per questo non si sofferma sugli aspetti che riguardano il rifiuto di Bergè ad autorizzare il film, che tra l’altro non si è manifestato come un divieto esplicito “abbiamo fatto il film che volevamo fare” ha detto il regista Francese ” e siamo orgogliosi del risultato. Il nostro progetto precede quello di Lespert; Jalil ha ottenuto pieno supporto da Bergè, in vari modi anche pubblici. Il nostro film va semplicemente oltre cercando di scavare intimamente e a fondo su alcuni aspetti che secondo noi riguardano la vita vissuta anche in forme più oscure, non ci interessava certo il biopic nella sua confezione di racconto tradizionale, fortunatamente ci siamo liberati da quel vincolo”

E sui fatti, ai quali alcuni giornalisti sembrano più interessati rispetto al linguaggio, Bonello risponde in modo molto chiaro “Nel film non c’è niente di diverso rispetto ad eventi e fatti che si conoscono bene e pubblicamente sulla vita di Saint Laurent, io non rivelo alcun mistero, non mi interessava; era più importante per me costruire un punto di vista, una visione, riaffermare quindi il senso di una scelta precisa. Non mi sono chiesto cosa fosse giusto o sbagliato o altre questioni di natura morale perchè non riguarda l’anima del film che ho realizzato, le scelte in questo caso sono come quelle di un pittore che perfeziona il suo metodo”

Un metodo che Bonello ha raccontato, dicendo di aver cercato le stoffe e i materiali spingendosi fino in italia per essere il più vicino possibile alla materialità creativa originale di Saint Laurent, per essere fedele al suo lavoro.

Anche Amira Casar, nella parte di Anne-Marie Munoz, sottolinea questi aspetti dicendo che il lavoro di Bonello è come quello di un pittore, attento nel regolare registri ed emozioni, preciso nel rendere le sfumature e i cambiamenti emozionali che emergono a poco a poco.

A chi in conferenza stampa ha citato Luchino Visconti come riferimento possibile Bonello ha risposto dicendo che molte delle influenze estetiche e visive che si possono rintracciare nel film “appartengono allo stesso mondo di Yves. I colori, la musica e sopratutto la decadenza. Un aspetto che mi interessava moltissimo in questo contesto ma nel senso etimologico della parola, come a descrivere qualcosa che procede verso la fine e non può più rinascere; il film in fondo tratteggia un’epoca che sta per finire e che si trova al suo livello terminale; questo coinvolge l’uso dei dettagli e di alcuni riferimenti specifici che ho impiegato”. La stessa influenza della cultura russa nel lavoro di Saint Laurent che una giornalista gli fa notare, il regista francese la spiega come un’influenza che assieme a quella orientale “proviene in realtà dalla conoscenza della pittura, vero serbatoio di ispirazione per Saint Laurent”. Una forma pittorica che Bonello ha ricercato anche in termini di colore e scelte tecniche girando il film in 35 mm perchè “rispetto al digitale che maschera tutto, la pellicola consente un lavoro maggiore sulle sfumature”

Anche Gaspard Ulliel che interpreta Yves Saint Laurent giovane (quello degli anni ’90 è interpretato da un notevole Helmut Berger) ha affrontato il suo lavoro con molta attenzione alle sfumature: “ho lavorato sulla voce in un secondo momento, ovvero è arrivata istintivamente dopo la ricerca documentale sugli eventi, per assimilarli in un primo momento e poi per allontanarmene in modo da avere una libertà interpretativa sufficiente. Non volevo diventare Laurent ma interpretarlo nel modo più profondo possibile, non avevo intenzione di copiarlo era una trappola che volevamo assolutamente evitare; in questo senso Bertrand mi ha supportato moltissimo, il suo è un lavoro molto organico che non è facile da descrivere, perchè tende a far emergere le emozioni e le sfumature dai suoi attori”

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