Serena Bruno (Paola Cortellesi) è un’abruzzese testarda, fin dall’adolescenza si applica con accanimento nello studio, coronando il sogno di diventare un architetto di successo e girando mezzo mondo con un’impressionante padronanza per le lingue.
Ma la nostalgia per l’Italia si fa sentire e con un movimento opposto a quello dei cervelli in fuga plana nuovamente su Roma per tentare la fortuna nel suo paese.
Si troverà di fronte al solito muro di gomma, senza nessuna opportunità reale, costretta a fare la cameriera mentre sogna di curare un grande progetto di riqualificazione del complesso di Corviale, mostro di cemento e vetro progettato negli anni ’70, trasformato nei decenni successivi in un delirante e degradato alveare con più di 1000 appartamenti incastonati.
Francesco (Raoul Bova) è il bellissimo proprietario del ristorante dove lavora, Serena non è affatto indifferente al suo fascino, ma dopo qualche piccola illusione arricchita dalla fantasia, scoprirà che il suo principale è omosessuale. Da questo momento in poi, il rapporto tra i due innescherà una complicità affettiva che culminerà in una convivenza amichevole e sopratutto nel tentativo da parte di Serena di vincere il concorso legato al progetto di Corviale, con l’aiuto dello stesso Francesco.
Il maschilismo che imperversa nello studio del capo (Ennio Fantastichini) e la paura di non farcela, obbligherà Serena a sfruttare positivamente un equivoco verificatosi durante il colloquio; gli esaminatori si aspettano infatti l’architetto Bruno Serena e da questo ribaltamento semantico, Serena si fingerà la sua assistente, ovvero, l’assistente di se stessa; ma quando vincerà inaspettatamente il concorso, dovrà continuare a reggere la parte coinvolgendo l’amico gay in un tour de force fatto di equivoci, inversioni di rotta, ribaltamenti di ruolo. Nella furibonda sarabanda comica, si inseriscono anche una serie di tematiche famigliar-generazionali, dalla condizione di un precariato irrisolvibile, al degrado politico e culturale del paese, fino all’invadenza degli affetti famigliari e alle famiglie non convenzionali allargate, dove predomina il sotto-tema dell’ex padre di famiglia (Francesco) scopertosi gay e che dovrà raccontare al figlio di sette anni la storia della sua identità.
Il film di Riccardo Milani, sceneggiato insieme alla stessa Cortellesi con la collaborazione di Ivan Cotroneo, Giulia Calenda e Furio Andreotti, gioca tutto sulla formula del doppio alla victor victoria, sbarazzandosi del travestimento come diaframma visibile e concentrandosi maggiormente sui processi identitari e sociali, con particolare attenzione al dominio maschile nel mondo del lavoro, dove donne di talento sono costrette a portare il caffè (Lunetta Savino) a titolari inetti.
Ma al di là di questo, uno dei due aspetti fondamentali su cui il film si sostiene è il quadro di respiro progressista-televisivo, tanto da assestarsi in un crocevia tra “Un medico in famiglia” e “Tutti Pazzi per Amore”, quest’ultimo ideato proprio dalla coppia Cotroneo/Milani, dal quale Scusate se esisto desume alcuni sconfinamenti tra quadretto surreale, sogno e per un breve istante, numero musicale, che era un po’ il punto di forza della già citata fiction prodotta dalla Rai.
Il secondo aspetto è ovviamente Paola Cortellesi, mattatrice a tutto tondo, centro attrattivo di tutte le gag e le dinamiche causali, istrionica e orientata al pezzo di bravura, regolato tra goffaggine insistita, risolutezza e gioco teatral-vocale, basta pensare a tutta la sequenza dove si finge casalinga e serve il riso al forno, momento completamente sopra le righe e memore della delirante esasperazione degli stereotipi che rimane territorio insuperato per l’Anna Marchesini degli anni ottanta/novanta.
Fatte salve la bravura performativa della Cortellesi e la fantasia bislacca di Cotroneo/Milani, il film rimane inchiodato al formato televisivo Rai Fiction degli ultimi anni, con quest’aura da commedia per la nuova generazione del Partito Democratico, con tanto di riferimenti sociali appiciccati in coda alla bell’e meglio.
Insomma, trascinati da un piacevole ritmo del disimpegno, si rimane in superficie e ancorati alla prevalenza di un linguaggio televisivo, politicamente correttissimo e che non rischia quasi mai di uscire dai paletti della formula prime-time per tutti.