Prodotto da Solaria Film e Lago Film, distribuito da Movimento Film con il patrocinio di Amnesty International Italia, Redemption song, documentario di Cristina Mantis, girato in collaborazione con Aboukabar Cissoko, ci parla dell’Africa e dell’America latina, dell’Europa e di quel mare nostrum che i filtri tingono ad un tratto di rosso. Da un gommone tirano su dall’acqua un cadavere, altri corpi stremati vengono coperti e portati via malfermi e tremanti dalle motovedette, un dettaglio su una mano, su un piede coperto di piaghe, una fluidità da steadycam s’intreccia a sonorità vocali e strumentali che allargano di echi il confine.
La musica e la poesia rendono però possibile uno sguardo diverso su questa epopea del terzo millennio. E’ lo sguardo di chi prova ad andare controcorrente.
Il focus è sull’Africa, un angolo fra i più poveri, la Guinea. L’Europa c’è, ma dietro le spalle, raccontata da Cissoko alla sua gente perché capisca.
Niente acqua, ospedali, strade e case, solo capanne e miseria in Guinea. Una terra piena d’oro che gli uomini cercano con le mani, scavando pozzi e raccogliendo la terra con secchielli sbilenchi. Quello che ricavano servirà per pagare le gabelle che polizie corrotte e bande di scafisti vogliono per portarli via, oltre il deserto, sul mare dove, forse, annegheranno. E quando saranno in Europa scopriranno cos’è l’Europa.
“Il mio sogno non è di andare in Europa”
Aboukabar Cissoko un sogno ce l’ha, e lo affida alla musica dei figli musicali di Bob Marley, Seidou Camara, Aminata Konate, DJ Papa.
Una gara canora,a Siguiri, in Guinea, nella Casa dei Giovani, sviluppa una traccia sonora intorno allo slogan “Africa svegliati ” .
Redemption Song, “quella speciale forma di “redenzione” che Bob Marley ha affidato ad una delle sue più celebri canzoni”, dice Cristina Mantis, è un titolo importante, un evento biblico per raccontare una storia che si ripete, costante e immutata, feroce e spietata, in un tempo che dividiamo in millenni ma altro non è che un eterno presente.
Cause all I ever had,
redemption songs.
All I ever had, redemption songs
These songs of freedom, songs of freedom
Il disagio dell’abbandono, il radicamento forte alla propria terra, alle tradizioni e agli affetti che si è costretti a lasciare, il sogno di ridare all’Africa un’identità distrutta da secoli di schiavismo e da una colonizzazione selvaggia che l’ha disgregata, questo è il sogno. “Arrestare l’emorragia umana che dissangua l’Africa”, ma anche scuoterla perché ritrovi in sé l’energia per risalire e ritrovare l’unità perduta, ponendo fine ai conflitti etnici che la insanguinano e su cui lucrano i nuovi colonizzatori, questa è la mission, l’obiettivo in cui credere. Cissoko parla della sua esperienza di rifugiato a Lampedusa, il suo è uno sguardo critico molto lucido e consapevole, quello di un giovane che sa leggere la realtà e non se ne lascia travolgere. Testimone attento di un’Europa in crisi che non vuole e non può essere il suo futuro, sa bene che il desiderio di tanti giovani come lui non è partire. C’è un’identità forte che l’Europa forse non conosce o non vuol riconoscere, una cultura antica che gli Africani rivendicano con orgoglio: “Siamo stati obbligati a venire – dice Cissoko – Guadagnavo, lavoravo da 13 anni nelle costruzioni. I Libici sono entrati nelle case, hanno preso la gente con la forza, donne, bambini, giovani dai posti di lavoro per metterli sulle barche. Non siamo né criminali né banditi, siamo venuti a salvare la nostra vita. “
Cissoko è tornato in Africa per indicare la strada al suo popolo, ma prima ha filmato tutto, per portare nel suo Paese, nelle scuole, fra la sua gente, testimonianze reali, pezzi di vita vissuta. Sa che solo così riuscirà a sensibilizzare e ridare fiducia in sé a gente abbrutita da ignoranza e miseria. Si tratta di un’alfabetizzazione sul concetto di umanità che nessun viaggio per mare e nessun approdo su terre ostili può dare. Dalla storia del suo popolo martoriato deve nascere la spinta a rinascere, e allora il luogo da cui iniziare è l’ Ile de Goreé. Venti milioni di Africani partirono da lì in catene, quattordici arrivarono, sei morirono, nessuno tornò mai al suo Paese.
La Casa degli Schiavi è sempre lì, le celle dove gli schiavi venivano accatastati, la porta aperta sull’Oceano. Il viaggio in Brasile, in una delle comunità quilombi dove vivono i discendenti degli antichi schiavi, sempre memori della loro lontana origine, è ora l’occasione per ripercorrere una vicenda secolare terribile che ha marchiato a fuoco il suo continente.
Questo popolo ha realizzato quel modello di unità e solidale convivenza che Cissoko porterà in Africa.
Africa, mia Africa.
Africa dai fieri guerrieri delle savane ancestrali
Africa che mia nonna canta
in riva al fiume lontano…
Un ricordo importante si aggiunge ancora, quello di Thomas Sankara, leader del Burkina Faso di cui scorrono immagini di repertorio di interventi alle Nazioni Unite e le sue parole sono le stesse di Cissoko: “Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa .Vivere africano, oggi, è il solo modo di vivere liberi e degni”