lunedì, Dicembre 23, 2024

Sinister 2 di Ciarán Foy: perché no

[Leggi anche: Sinister 2, perché si ]

Torna Bughuul, il demone mummione in war paint black metal che agitava già le notti della povera famiglia Oswalt, in special modo il capofamiglia Ethan Hawke, in quel primo Sinister del 2012. Facile era immaginare, dalla ricercata insistenza iconica del mostro, che nelle intenzioni ci fosse la creazione di un nuovo brand da spalmare su sequel e sequel. Ancora più facile prevedere che le già fragili premesse dello script di Scott Derrickson (anche dietro la macchina da presa) non reggessero sulla lunga distanza. E così è, dal momento che questo secondo atto altro non fa che rendere ancor più astruse, caotiche e scialbe le premesse del capitolo primo. Se lì, però, un soggetto che pure poteva dar vita a tutto ed il contrario di tutto (famiglia w.a.s.p. con papà scrittore in crisi da pagina bianca, casa infestata e terrore diffuso) prendeva le forme di un horroretto standard ma onesto e, in definitiva, godibile, qui ad emergere, come in un setaccio tirato via dall’acqua, sono i peggio residui di questa storiella gotica nata stanca.

Il soggetto è quello che è: ragazza madre con gemelli fugge da marito violento, trasferendosi, guarda un po’, giusto nella casa dei furono Oswalt, luogo in cui si consumarono nel tempo efferate e misteriose carneficine di interi nuclei familiari; tutto mentre l’ex vicesceriffo, spettatore attonito dei misteriosi eventi lì accaduti in precedenza, torna per dar fuoco alla malevola dimora. Trovati i nuovi inquilini e preso a cuore il caso della donna, resterà con lei per salvarla da tutti i suoi guai. Intanto, un gruppuscolo composto dagli spettri dei piccoli uccisi tra le infauste mura, comunica con uno dei fratellini, costringendolo dolcemente a visionare i filmini con gli omicidi che li hanno visti vittime, giusto come rituale preparatorio volto ad offrire un nuovo pegno all’uomo nero, il suddetto Bugul. Se ci avete capito qualcosa, vi prego di venirmelo a spiegare…

Il povero Derrickson qui lascia la regia e si dedica esclusivamente alla produzione ed alla scrittura ma si sa che, almeno quello di quest’ultima, non è esattamente il campo in cui riesce a dare il meglio di sé (fu sceneggiatore del film più orrido di tutti i tempi: La Terra Dell’abbondanza di Wenders). Non fosse già abbastanza contorta, la sceneggiatura pecca anche d’innumerevoli e fastidiose lacune narrative, di vuoti incolmabili, di tempi esasperatamente lunghi, d’idiosincrasie e contraddizioni. L’aspetto puramente de paura, pare essere solo un contorno alle aspre vicissitudini di un melodramma familiare così enfatico che pare venir fuori, dritto dritto, da uno di quei filmetti tv, serie Donne Al Bivio, che mandavano in Mediaset ai tempi che furono. E se tutto ciò non bastasse, lasciare a James Ransome, per pura filologia, il ruolo d’improbabile protagonista, al netto d’ogni barlume di carisma, è scelta davvero poco oculata.

In questo secondo capitolo, del resto, la banalità investe persino quello che era il vero punto di forza di Sinister: la riflessione metafilmica sul senso stesso dell’immagine: laddove il proiettore puntato sul pubblico, costringeva all’interrogativo sulla veridicità della visione, al valore dell’atto stesso della ripresa, alla problematicità dello schermo. Qui il proiettore s’inceppa in un giochino senza nerbo a livello critico pari a zero, per non dire assolutamente inutile all’economia del racconto. Insensato e fuori luogo.

Ma ciò che più dispiace e di ritrovare alla regia quell’irlandese, Ciaran Foy, che con il proprio esordio, Citadel, aveva tracciato un segno tutt’altro che disprezzabile nella sintassi orrorifica, proponendo un curioso incubo suburbano, sospeso tra Polanski e Carpenter (solo le intenzioni varrebbero un premio), capace di avvicinare le istanze del dramma proletario U.K. all’action zombie post-Walking Dead. Di quell’interessante mistura narrativa, di quel lerciume basso popolare esondante da set e inquadrature, di quella vivida ricerca del perturbante sul limitare tra fantastico e quotidiano, in Sinister 2 non c’è nulla. Certo la tv trasmette Romero, che, pur se usato come pretesto d’autorialità, dare in faccia al pubblico da multisala è sempre un bene. Però, l’occhio di Foy non esiste più, spentosi anzitempo al contatto con gli investimenti milionari della Blumhouse, ingrassando il parco di tutti quegli autori indipendenti assorbiti, spenti e distrutti dalle grandi produzioni (lista infinita).

Forse sbagliamo a fare del recente Babadook, dall’eponimo, splendido, film di Jennifer Kent, la misura con cui valutare tutti i babau che popolano e popoleranno lo schermo in nero ma se proprio dobbiamo farci spaventare da uno di loro, che sia almeno uno serio e non questa roba da quattro sghei.
Scon-si-glia-to!

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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