domenica, Novembre 24, 2024

Sonia Gessner, cinquant’anni di cinema e di teatro: l’intervista

Attrice svizzera, naturalizzata milanese, con una carriera lunga oltre cinquant’anni, Sonia Gessner ha attraversato gli ultimi decenni del cinema e del teatro italiano, lavorando con autori del calibro di Fellini, Taviani, Amelio, Piccioni, Soldini, Diritti e Sorrentino; questa è l'intervista rilasciata a indie-eye, dove ci parla della sua grande esperienza tra cinema e teatro

Cominciamo dalla fine, o quasi. Il personaggio della contessa Colonna, emblema della vecchia aristocrazia romana in decadenza, è uno dei più malinconici nella galleria di volti che popolano La grande bellezza

‘Tu devi essere sempre triste’. Sorrentino mi ha presentato così il personaggio della contessa. Mi ha proposto la parte e non ci sono stati provini. Mentre lavora, Sorrentino si muove con grande naturalezza, molte idee nascono direttamente lì, sul set, è un regista pieno di illuminazioni improvvise. In più mi sono trovata molto bene con Franco Graziosi, che nel film interpreta la parte di mio marito, e abbiamo girato in luoghi meravigliosi: la cena sulla terrazza con vista sul Colosseo, le scene a palazzo Taverna in cui ricordo la mia infanzia attraverso gli oggetti che non mi appartengono più.

Parliamo di cinema. A quali ruoli sei più affezionata?

Ho avuto la fortuna di lavorare spesso con alcuni dei registi che amo di più. Mi piace cambiare, affrontare nuovi registri, personaggi sempre diversi. E’ questa la magia: nel cinema e nel teatro, è interessante il confronto fra autore e personaggio. Ogni regista ha una tecnica e uno stile personale: bisogna affidarsi, cercando al tempo stesso di esprimere la propria personalità. E’ un gioco di equilibrio. Amo il cinema, perfino con le sue interminabili attese per la preparazione del set. Poi, all’improvviso, in scena, succede tutto molto velocemente. Ho iniziato nei primi anni ’60: Milano Nera – uno dei primi ruoli, regia di Gianni Rocco e Pino Serpi, con sceneggiatura co-scritta da Pasolini – è del ’61. Le cose migliori sono venute con il tempo. Con i fratelli Taviani ho collaborato per Il sole anche di Notte (1990), film in costume tratto da un racconto di Tolstoj, dove interpreto la madre di Nastassja Kinski. Con i Taviani ho lavorato poi per Resurrezione (2001), sempre tratto da Tolstoj. Piccioni è un professionista molto esigente e uno dei registi che in assoluto amo di più. Con lui ho lavorato due volte, per La vita che vorrei (2004) e, qualche anno prima, per Fuori dal Mondo (2001). Durante le riprese di Fuori dal Mondo, dormivamo in un convento: vivere a contatto con le suore, nel corso della lavorazione, è stata un’esperienza particolare. Tornando un po’ più indietro, uno dei film cui sono emotivamente più legata è Colpire al Cuore (Gianni Amelio, 1982). Il protagonista è mio figlio Fausto, all’epoca quindicenne. Per un anno Amelio cercò, senza trovarlo, un ragazzo per la parte del protagonista, un adolescente figlio di un professore universitario (interpretato poi da Jean-Louis Trintignant). Un amico di Aldo Rossi, all’epoca mio marito, gli presentò nostro figlio Fausto. Amelio non ha avuto esitazioni e Fausto ha instaurato uno splendido rapporto con Trintignant. Amelio veniva spesso a casa nostra per preparare il film. Nel frattempo stava cercando un’attrice che interpretasse la madre di Fausto (Emilio nel film). Avrebbe voluto un’attrice più famosa, ma alla fine ha proposto a me il ruolo e ho accettato. All’ultimo momento Amelio ha trovato una parte anche per Vera, mia figlia, che interpreta la sorellina di Fausto. In più la costumista era Lina Nervi Taviani, moglie di Paolo Taviani, che è anche un carissimo amico. Quasi un film di famiglia. Recentemente ho lavorato con Diritti, un altro dei miei autori preferiti, per Un giorno devi andare. E ho avuto una parte nel nuovo film di Daniele Ciprì – un autore fantastico, dall’immaginazione surreale. Interpreto una “perfida vecchia”: mi sono divertita moltissimo. Fra le esperienze più interessanti negli ultimi anni, c’è un cortometraggio diretto da Adriano Valerio (Da Lontano, 2007), che è poi passato in vari festival. Interpreto una donna spaesata, con un figlio in partenza, ispirata alla madre del regista.
Se potessi scegliere, vorrei lavorare di nuovo con gli autori che ho amato di più: Diritti, Piccioni, Sorrentino, Taviani, Nina di Maio, Ciprì. Non potrei chiedere di meglio.

Come hai conosciuto Fellini?

Erano i primi anni ‘60 e Fellini stava preparando 8 ½. Era estate e io mi trovavo in Svizzera con mia madre. Non l’avevo mai incontrato, ma credo avesse visto qualche mia foto. Il giorno di Ferragosto, mentre stavo uscendo da un bosco, sono venuti a chiamarmi dicendomi che l’assistente di Fellini mi stava cercando. Sono passati tanti anni e tuttora non ho idea di come abbia fatto a trovarmi. Ho lavorato qualche giorno sul set di 8 ½. Poi ci siamo risentiti per La città delle Donne e per E la nave va. Mi diede una piccola parte in Ginger e Fred, ma fu poi tagliata.

E il teatro?

Se dovessi scegliere, il teatro è forse ciò che amo di più. Prima ancora di entrare dalle quinte sul palcoscenico, si percepisce il calore o il gelo del pubblico: per un attore, anche dopo tanti anni, è sempre emozionante. Amo la fase delle prove, quando si approfondisce il significato del testo e si indaga il sottotesto. Il teatro è una bella scuola di convivenza: si instaura un rapporto, prolungato nel tempo, con un gruppo di persone spesso diversissime tra loro, e poi si lavora insieme, sera dopo sera. Girare per l’Italia, con tutti i suoi meravigliosi teatri, è un altro degli aspetti che mi fanno amare questo mestiere. Ci sono tanti ruoli che non posso dimenticare, come la parte della ‘Saggezza’ nel Gran Teatro del Mondo di Calderon de la Barca (Teatro Olimpico di Vicenza). Il regista era il grande Giorgio Marini. Con lui ho lavorato anche per Diluvio a Norderney, da un racconto di Karen Blixen (interpretavo ‘Jonathan’), Arianna a Nasso, Barbablù. Marini lavorava con copioni difficilissimi, scritti sul pentagramma. Il Diluvio è stata un’esperienza indimenticabile: mesi di prove senza soldi, ma era uno spettacolo magico. In teatro ho lavorato anche con Massimo De Vita, il direttore artistico del Teatro Officina. Nei primi anni ’60 ero a Trieste, al Teatro Stabile, dove ho recitato ne Gli Ingannati, commedia cinquecentesca degli Accademici Intronati di Siena, diretta da Fulvio Tolusso. Nel ‘64-‘65, Eriprando Visconti mi ha diretto in Come vi piace: recitavo con Marisa Fabbri. E’ stato proprio grazie a Visconti se, negli anni ’80, mentre lavoravo con Amelio in Colpire al Cuore, ho finalmente avuto un agente. Poi, tra le più belle esperienze teatrali, ci sono i lavori con Franco Enriquez, Nanni Garella (I masnadieri, da Schiller, con Flavio Bucci, nel ’75) e Massimo Castri. Con Castri ho conosciuto davvero Pirandello: La vita che ti diedi e Così è se vi pare, entrambi con Valeria Moriconi. Fra il ’78 e l’ ’81 ero a Brescia, al Teatro Stabile. Ho avuto una carriera discontinua. Dopo l’esperienza triestina, mi sono sposata e per un po’ ho smesso di lavorare. E’ stata la mia amica Milena Vukotic, (re)incontrata un giorno per caso, a spingermi a ricominciare (‘Tu sei un’attrice’ – mi disse).

A teatro non mi è mai passata la paura. Eppure lo trovo un gioco straordinario. Siamo sempre a contatto con la parola, con le parole dei più grandi autori, attraversando i secoli. Potrà suonare banale, ma è fantastico essere pagati per avere immaginazione, per indagare dentro noi stessi alla ricerca dell’altro.

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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