Primo lungometraggio per Alejandro Iglesias Mendizabal, costruito con le caratteristiche del racconto di formazione, ma secondo la prospettiva del bozzetto quotidiano e confidenziale, tanto che in assenza di una struttura narrativa che tenga realmente in piedi il filo del discorso, ci si affida al gioco affabulatorio e alle derive ludiche degli adolescenti descritti.
Attraverso una serie di brevi episodi introdotti da uno schizzo disegnato come indicazione dei capitoli, incontriamo tre ragazzi lungo il corso di un intero pomeriggio ed in procinto di recarsi al funerale di un loro amico e compagno di squadra nel team calcistico della scuola. Lucas (Fabrizio Santini), Ruben (Alejandro Guerrero) e il grassoccio Mili (Paco Rueda) tornano quindi a casa dagli allenamenti di calcio per prepararsi al triste evento ma il primo dei tre si accorge di aver perso le chiavi di casa e insieme a quelle un anellino regalato da Raisin, la fidanzata. Disperato chiama Mili e dirotta il terzetto in un parco della città pieno di foglie secche cadute dagli alberi.
Le chiavi perdute e il tentativo di ritrovarle nel parco diventano la scusa per innescare il continuo gioco verbale tra i ragazzi, mettendo al centro il loro rapporto con la sessualità, il loro ruolo nella società, la relazione con le ragazze, quasi sempre in forma di gioco e interrompendo il flusso dialogico con una serie di boutade elaborate intorno a pochissimi elementi tra cui le foglie e la giostra del parco.
In questo contesto chiuso da un numero ridotto di regole narrative e una serie di dialoghi umoristici tutti di livello semplificato, Mendizabal e lo sceneggiatore Luis Montalvo (anche lui al primo lungometraggio) si aprono ad alcune deviazioni dal corso principale, la cui essenza rimane sempre a metà tra realtà e distorsione ludica; tra tutte la sequenza che sorprende i tre ragazzi intenti a bruciare un cumulo di foglie, mentre si avvicina un poliziotto che intima loro di smettere, per poi ricattare il povero Mili in un secondo momento, estorcendogli denaro e minacciandolo con scuse ai limiti del grottesco.
Il metodo dei due autori messicani sembra quello di introdurre elementi realistici apparentemente più definiti, ma sempre nella dinamica del gioco, dove il perder tempo oppure il tempo a perdere assume un valore peculiare nel raccontare le incertezze dell’adolescenza, sempre in bilico tra la ricerca di un’identità precisa e l’espansione della realtà nella dimensione dell’immaginazione.
Il cinema di Mendizabal non ha quindi l’ambizione di essere qualcosa di diverso dalle prospettive dei tre ragazzi e forse non corre neanche il rischio di costruire un dispositivo post-alleniano (in senso del tutto negativo) come molte produzioni indipendenti passate dal Sundance, proprio perché il livello è talmente esile e in un certo senso “onesto” nell’avvicinarsi ai processi cognitivi e comportamentali dei suoi protagonisti, da sfarinare qualsiasi possibilità auto-riflessiva in un volo leggero, come soffiare sulle foglie.