In una vecchia intervista del 1977, George Lucas raccontava l’assenza di tutta la mitologia cinematografica che aveva accompagnato la sua generazione. Quella di allora, orfana del Western e del cinema d’avventura poteva quindi confrontarsi con i mondi creati dal produttore americano infondendo nuove speranze ad un paese che ancora scontava l’amarezza degli ultimi anni di presidenza Nixon. Spiritualità, amicizia, coraggio erano i valori della “propaganda” Lucasiana e di cui “Star Wars” si faceva carico.
È su questi stessi elementi che J.J. Abrams ha puntato ricostruendo le basi per una nuova trilogia a partire da una giovane orfana che, come nel primo film della saga, vive in un pianeta deserto al centro di un conflitto intergalattico, dopo essersi imbattuta in un piccolo droide che custodisce informazioni riservate. Come Luke Skywalker è investita del dono della Forza, incontrerà Han Solo (Harrison Ford) e il copilota del Millenium Falcon, un Wookie chiamato Chewbecca, agenti veri e propri di quel trasferimento di conoscenze che serve al regista di Super 8 per rifondare le origini, dimenticandosi della trilogia inaugurata nel 1999, grazie anche alla sceneggiatura di Lawrence Kasdan, che aveva collaborato con Lucas fino al 1983 ovvero per “L’impero colpisce ancora” e “Il ritorno dello Jedi”.
Rispetto alla prima trilogia Abrams fa quindi i conti con l’ideazione di mondi e galassie connesse come in una quest avventurosa, la proliferazione di numerosi personaggi, lo spirito della commedia che aleggia su tutto il film, l’attenzione ad una terra tecnologizzata che attraverso la rappresentazione iconografica di dispositivi, androidi, astronavi e comunità intere, creava un’allure retro-futurista in equilibrio tra realtà e fantasia, Storia politica e Storia Cinematografica.
Dovendo indicare una delle sequenze centrali che Abrams recupera dal film ribattezzato come A new Hope, scegliamo quella ambientata nella taverna del porto spaziale di Mos Eisley che viene rielaborata nella cantina gestita da Maz Kanata (Lupita Nyong’o) dove sono ospitati decine di personaggi bizzarri.
Fisicità e prostetica vengono quindi re-integrate, non tenendo conto dell’esplosione CGI che aveva caratterizzato i prequel, film appesantiti dagli stessi effetti digitali tanto da ostacolarne lo sviluppo senza alcuna possibilità di combinarsi in modo credibile. In questo senso il film di Abrams compie un’operazione filologica di recupero non inventandosi niente di particolarmente nuovo, ma ponendosi comunque in una posizione di resistenza che assume un peso di natura teorica, la stessa che con risultati diversi ha affrontato George Miller nel nuovo Mad Max Fury Road, film che torna nel deserto e integra l’elettronica sotto forma di innesto, preservando l’avventura cinematografica del set, la flagranza dello spazio naturale e trainando i blue screen in una dimensione fisicissima. Tra l’altro si potrebbe fare un parallelo sulla centralità dei personaggi femminili in entrambi i film; Furiosa in quello di Miller, figura liminale che assorbe su di se anche i segni e le caratteristiche di Max, tanto da rappresentarne una vera e propria disseminazione e Rey (Daisy Ridley) nel film di Abrams, con una posizione simile rispetto a tutta la storia narrativa di Guerre Stellari.
Se Abrams da un certo punto di vista sembra non allontanarsi troppo dalle modalità con cui ha realizzato Super 8, dove recuperava la fantascienza spielberghiana fine settanta, dialogando con lo spirito originario di “Star Wars”, allo stesso modo gioca con grande abilità combinatoria con gli elementi narrativi della saga originaria, spostando elementi, e facendo slittare il centro di alcuni climax, come per esempio la relazione padre/figlio/a, male/bene quasi tutte già in campo ma invertite di polarità, rilanciando il tutto con quella stessa forza creativa che per esempio è alla base de “I guardiani della galassia“, ma da una prospettiva che cerca di preservare una struttura maggiormente classica e bilanciata.
Rimane da capire se sulla lunga distanza la Lucasfilms sarà in grado di mantenere questa freschezza ritrovata, non solo per quanto riguarda la prosecuzione della trilogia, ma anche per progetti paralleli come Rogue One, che sembrano espandere l’universo infinito di Star Wars in una nuova dimensione seriale che ormai da tempo sta facendo dialogare il cinema con i formati ideati per la televisione.