Sullo sfondo di una Milano grigia e avvolta nella nebbia si intrecciano sei diverse storie di prostituzione minorile. Prendendo spunto da alcuni fatti di cronaca – ma sempre rielaborandoli attraverso una narrazione propriamente cinematografica – Carlo Lizzani realizza, con Storie di vita e malavita, un drammatico e realistico spaccato sociale dell’Italia degli anni Settanta. Sei storie diverse, che toccano realtà differenti – dalla borghesia delle classi sociali più abbienti fino ai borghi più squallidi della periferia milanese – necessarie per affrontare un argomento scomodo e poco discusso come quello della prostituzione che coinvolge i minori. Vittime sono tutte giovani donne, spesso (ma non sempre) ignare del destino a cui vanno incontro: ragazze imprigianate in una realtà aberrante, inizialmente “agganciate” dalla gente sbagliata, e condotte, poco alla volta, in una spirale da cui è impossibile uscire. A fare da contorno alle sei storie, come un leitmotiv, v’è la drammatica vita di una coppia di donne – composta da nonna e nipotina – che adescano clienti casuali sulla tangenziale milanese, con la scusa di passaggi in macchina: un episodio che trae spunto da un racconto di Roberto Rossellini allo stesso Carlo Lizzani.
Come per tutte le opere “corali, non tutte le storie che compongono il film hanno la medesima intensità e compiutezza. Alcune risultano decisamente più riuscite – come quella iniziale di Rossella, giovane sarda immigrata a Milano in cerca di lavoro e ingannata dal “pappone” di turno. Altre, più fantasiose, come quella della prostituta occasionale (la ragazza borghese che si “concede” per ripicca nei confronti dei genitori assenti) sono invece minori. Bisogna ricordare che Lizzani affida il ruolo delle protagoniste ad attrici non professioniste: una scelta rischiosa, ma che gli permette di ottenere un risultato assolutamente sincero nelle interpretazioni.
Si è parlato spesso, erroneamente, di cinema di genere per Storie di vita e malavita. Piuttosto, il film di Lizzani recupera una tradizione cinematografica italiana neorealista (si guardi alla scarsa spettacolarità degli ambienti e delle situazioni), e la “sposa” ad un cinema di denuncia particolarmente acceso e intransigente. Non a caso, il film incappò in non pochi problemi con la censura, per via del tema morboso affrontato, ma si rivelò comunque un buon sucesso di pubblico e critica. Stilisticamente, è un film abbastanza povero, “asciutto” come la realtà che vuole descrivere. L’ostilità della grande città nei confronti dei singoli è ben resa dalla fotografia opprimente, che conferisce al film un’atmosfera claustrofobica e senza vie di fuga. A suggellare il pessimismo di cui è intrisa la pellicola v’è il drammatico finale, che mette ancor più in evidenza un problema davvero “tentacolare”, pericolosamente ignorato e sottostimato. Lizzani, inoltre, si concentra non solo sulla vita delle ragazze, ma anche sui loro clienti abituali, sui comportamenti bizzari, quasi infantili, che li caratterizzano. La denuncia si fa così “a tutto tondo”, e serve per mettere a nudo le falle peggiori della società. Un disagio che, secondo il regista, non è cambiato più di tanto dagli anni Settanta ad oggi, rivendicando in tal modo l’attualità di quest’opera esemplare del cinema italiano degli anni Settanta.
Come annuncia il cartello in apertura al film, la qualità video del film è bassa, e, soprattutto nei primi minuti, vi sono dei “buchi” a causa della perdita di alcuni metri di pellicola. Il recupero del film è stato effettuato dall’unica copia presente (e maltenuta), e necessita dunque di un restauro. L’audio è, invece, discreto. All’interno del Dvd è presente un ottimo documentario, “Le baby prostitute”, con interviste al regista e al cast tecnico del film: un documento importante, ricco di informazioni, aneddoti e curiosità. Sono presenti anche una galleria fotografica, e una selezione di scene – molte delle quali “hard” – realizzate esclusivamente per il mercato straniero, ma assenti nella copia italiana.