lunedì, Novembre 25, 2024

Tanna di Bentley Dean, Martin Butler – Venezia 72, Settimana Internazionale della Critica

In una società tribale del Pacifico meridionale, una ragazza, Wawa, si innamora di Dain, il nipote del capo tribù. Quando una guerra fra gruppi rivali si inasprisce, a sua insaputa Wawa viene promessa in sposa a un altro uomo come parte di un accordo di pace. Così i due innamorati fuggono, rifiutando il destino già determinato per la ragazza. Dovranno però scegliere fra le ragioni del cuore e il futuro della loro tribù, mentre gli abitanti del villaggio lottano per preservare la loro cultura tradizionale anche a fronte di richieste di libertà individuale sempre più incalzanti.

L’amore ai tempi di “Tanna” è lo stesso dei primi uomini sulla Terra, preservato e spoglio di tutte le complicazioni fisiche e mentali che inibiscono i rapporti nella nostra società contaminata da molti elementi devianti.
Ciò che impedisce la loro unione, però, è una legge osservata religiosamente dalla loro tribù, volta al preservare intatto il flusso della loro storia, delle loro tradizioni, minacciate dal recente insediamento di nuove aggregazioni con usi e costumi differenti.

Dean e Butler hanno forse colto l’essenza di una tradizione lontanissima, storicamente e geograficamente, dalla visione occidentale. Qui tempo e spazio si fermano per un attimo, e lo sguardo dei registi si avvicina in punta di piedi per non intaccare la verginità di quei luoghi, fino ad aderire completamente alla realtà dei corpi, dei colori del cielo, della flora esplosa senza freno, del vulcano che vigila dall’alto dell’isola, e che accoglie i corpi morenti dei due innamorati sulle sue pendici.

Per mutare la millenaria legge che regola la tribù dell’isola in ogni aspetto della loro vita, è necessario dunque il sacrificio, così da riportare su un piano più umano, il già disumano legame matrimoniale. La cultura “Kastom” viene così messa in discussione dai capi tribù, incoscienti della crudeltà di una tale imposizione, riportando in equilibrio la messa a nudo dei corpi liberi di vivere senza l’imposizione sociale degli indumenti; sono nudi allora anche i sentimenti, liberi, da quel momento in poi, di potersi esprimere e legare secondo la volontà individuale.

Una ricerca antropologica penetrata in uno dei polmoni terrestri, supportata dal taglio documentaristico che si confonde con la finzione, nell’accezione non riconciliata di “documentario” che ci piace di più. Il racconto appartenente alla tradizione orale, viene impresso su schermo, con la forza e determinazione di Wawa e Dain, sfidanti delle antiche leggi e incarnazione dell’amore più viscerale.

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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