domenica, Novembre 24, 2024

The Childhood of a Leader di Brady Corbet – Venezia 72, Orizzonti

Brady Corbet é cresciuto professionalmente a pane e cinema d’autore, impegnato fin da quattordicenne in una carriera d’attore in cui é stato diretto da Araki, Von Trier, Assayas, Hansen-Løve, Baumbach e il cui precoce culmine (almeno finora) puó essere individuato nel ruolo di uno dei sadici torturatori del Funny Games americano di Haneke.

A 27 anni, per il suo esordio alla regia, Corbet ha puntato dritto verso il cinema, fatto di sottigliezze psicologiche e crudeli conseguenze, del regista austriaco, affrontando il rischio ulteriore di adattare dalla pagina un racconto tratto da Il Muro di Jean-Paul Sartre (incluso nei ringraziamenti in coda).
Come per il titolo del film in questione, da questo preambolo non é poi difficile capire dove questa recensione andrá a parare. Andiamo però con ordine: del testo di partenza The Childhood of a Leader conserva soprattutto la struttura, ossia il ritratto di un giovanissimo rampollo più intelligente della sua etá e circondato da ipocrisie da classe dominante e un fulminante flash forward finale che ce lo ripresenta in etá adulta.
Prescott è il figlio di un funzionario di Stato americano che si è momentanemente trasferito con la famiglia nella campagna francese per partecipare ai negoziati di pace della Prima Guerra Mondiale. Nell’enorme magione segnata dalla guerra, Il bambino, dati gli impegni paterni, vive sempre a contatto con la religiosissima e piacente madre, che però delega affetto e attenzioni all’anziana tata e alla giovane insegnante di francese.

La sceneggiatura imbastisce due evidenti piani di lettura: ciò che viene predicato al turbolento Prescott è puntalmente smentito nei comportamenti degli adulti. Dopo la prima bravata, il prete del paese reciterà in chiesa un sermone sulla dimenticata importanza del perdono, salvo poi costringere Prescott a umiliarsi di fronte ai parrocchiani e chiedere loro scusa uno per volta. Lo stesso vale per la favola del leone e del topo raccontata in due, anch’essa parabola sul perdono, anch’essa ignorata nei suoi contenuti dagli adulti, che si concentrano invece sugli aspetti superficiali: l’ottima pronuncia francese del pargolo. L’ipocrisia dei genitori si allarga anche al rapporto sentimentale tra i due: seppur taciute nelle conversazioni, si deducono dal non detto le relazioni fedifraghe di entrambi, sempre intenti a glissare sull’argomento (sollevato dal figlio) senza che il partner insista.

A questo si aggiunge il parallelo tematico tra le conseguenze dell’educazione di Prescott e quelle che vediamo maturare dalla fase storico-politica: nei negoziati di pace la volontà di stroncare le possibilità di ricostruzione della Germania (anche qui: il rifiuto di perdonare chi è in una posizione di difficoltà) pongono le basi per il reich che verrà.
Per sottolineare atmosfericamente gli oscuri presagi suggeriti dalla narrazione, Corbet dispone una scenografia di interni accuratamente decadenti, una fotografia tetra che riproduce la bassa illuminazione dell’epoca (con una scelta oramai al limite del nostalgico, il film è girato in pellicola 35mm e, obiettivamente, si vede) e infine una colonna sonora intrisa del cupo stile di Scott Walker, dai toni forzatamente tensivi e spiccatamente espressionisti.

Questo magniloquente apparato viene però a sgonfiarsi, risultando di conseguenza artificioso, di fronte alla scarsa capacità di creare tensione nella costruzione delle scene, risultato decisamente auspicabile se ci si rifà ad un cinema interamente fondato sulla manipolazione dell’attesa, del timore, della creazione di apprensione nella mente spettatore. Obiettivo, però, che si raggiunge grazie ad un complicato, sottile lavoro nella selezione delle inquadrature, nell’estenuante direzione degli attori, infine nella fase di montaggio del film.

Il regista invece sembra considerare l’impatto emotivo del film un risultato matematico degli elementi scenici messi in campo: ne sono un esempio lampante gli inefficaci accenni alla sessualità di Prescott, che paiono giustapposti nella trama per creare volume nelle turbe del bambino. I tonitruanti accenti del finale non fanno che aumentare la sensazione di mera pretenziosità del film, già fortemente a rischio di meccanicismi a partire dal soggetto. Eppure, differentemente dal caso di Prescott, per quanto i presagi non siano dei migliori, la giovane età di Corbet non preclude ravvedimenti già dalla probabile opera

Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio
Alfonso Mastrantonio, prodotto dell'annata '85, scrive di cinema sul web dai tempi dei modem 56k. Nella vita si è messo in testa di fare cose che gli piacciano, quindi si è laureato in Linguaggi dei Media, specializzato in Cinema e crede ancora di poterci tirare fuori un lavoro. Vive a Milano, si occupa di nuovi media e, finchè lo fanno entrare, frequenta selezioni e giurie di festival cinematografici.

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