Quella di “The Golden Era” è una Ann Hui apparentemente diversa, apparentemente perchè la sua capacità di dissolvere i confini generici del suo cinema, entro il corpus più ampio di quello Hongkonghese, sembra trovare una sintesi estrema nella magniloquenza del formato biopic, spinto in uno spazio di convergenza tra punto di vista e documentazione, costruzione drammatica e improvvisa condivisione tra personaggio e voce narrante. Doppiezza dell’immagine cinematografica che era anche di progetti più intimi come “The Way We are” e il successivo “Night and Fog”, ibridazioni tra genere e racconto famigliare, elemento costante in tutta la filmografia della Hui e che con “The Golden Era” raggiunge quella stessa concordanza discordante delineando la Storia di un paese attraverso la diacronia di eventi, scritti, frammenti legati alla vita di una delle più importanti scrittrici cinesi, Xiao Hong; un percorso che procede dalla caduta della dinasta Qiang al secondo conflitto sino-giapponese e che mette insieme le testimonianze di tutte le persone che hanno gravitato intorno all’autrice. Ed è proprio sul concetto di testimonianza che la Hui lavora, facendo collidere il linguaggio documentale con quello drammaturgico, senza mettere al centro un’unica voce, ma procedendo per disseminazione e trasformando gli attori nel veicolo di una particolare percezione Storica, assimilandoli ad un filtro narrante, mentre guardano in macchina, si rivolgono direttamente alla Hui e si staccano dallo sfondo drammaturgico. Per certi versi assolvono ad una funzione di raccordo utile a fornire quella continuità Storica che non era raggiungibile attraverso le lettere, i diari e i frammenti letterari di Xiao Hong, ma allo stesso tempo marcano l’estrema soggettività di una visione che si serve di molteplici materiali senza cercare di renderli coerenti a tutti i costi in un contenitore narrativo.
Xiao Hong, eccentrica e fuori dai limiti del tempo, appena ventenne diventa l’amante di un professore già sposato. Rimasta incinta fugge con l’uomo, ma viene abbandonata subito dopo nella solitudine di un hotel, con la gravidanza da mandare avanti e un debito contratto con gli stessi proprietari della locanda. L’inizio di un’odissea senza tregua che la porterà a condividere dieci anni della sua vita insieme ad uno scrittore, tra amore e una forte divergenza di opinioni creative; lui così accademico e inquadrato nell’esposizione della forma lei libera e meno formale nel concepire il flusso della scrittura poetica; un amore conflittuale che terminerà con una separazione durissima e con la necessità di Xiao Hong di affidarsi ad un uomo buono che possa prendersi carico del nuovo figlio che aspetta.
Nella storia di Xiao Hong la Hui individua una figura forte, capace di andare contro le convenzioni del suo tempo e di tracciare una storia personale della cina all’alba della rivoluzione culturale; un confronto che diventa flagrante per la Hui, quando desume esplicitamente alcune frasi dalla scrittrice cinese, più interessata alla scrittura e alla poesia che alla politica.
Il procedimento della regista cinese si avvicina molto di più alla metodologia del saggio Storico applicata alla mutazione dei sentimenti e al modo in cui Xiao Hong diventa testimone del proprio tempo attraverso la sua vita personale ed affettiva, ma anche al testo poetico come tavolozza combinatoria. Il melodramma, quando sopravvive, è nei piccoli frammenti emozionali, nelle sequenze in cui la Hui mette in relazione corpi e ambiente, nelle numerose piccole sequenze drammatiche, assolutamente autosufficienti nel loro essere frammento, ovvero passaggio dalla parola creativa e letteraria di Xiao Hong alla scrittura cinematografica della Hui.