Ultimamente la Corea del Nord tira più di un carro di buoi e le potenzialità comiche della dinastia dei Kim non sono più esclusivo appannaggio degli autori di South Park. Cronenberg la tira in ballo nel suo romanzo “Consumed”, James Franco s’inventa furbissime bufale di celluloide, la capitale Pyongyang ispira sia il fumettista Guy Delisle (che ha battuto tutti sul tempo), sia Damon Albarn dei Blur per uno dei pezzi di “The Magic Whip”. Alimentato senza sosta dalle boutade dell’intelligente leader ora in carica, l’immaginario è in fermento.
I due giovani documentaristi Cannan e Adam hanno preso una delle tante vicende grottesche a marca nordcoreana e sono riusciti nell’impresa più ardua: il recupero della documentazione. Tanto da poterci fare un film. La storia era nota ma non era mai stata ricostruita così in dettaglio. Sul finire degli anni Settanta Kim Jong-il fece rapire prima Choi Eun-see, celebre attrice sudcoreana, poi Shin Sang-ok, suo mentore, regista, produttore e amante. Come se gli americani, gelosi dell’“Angelo azzurro”, avessero ordito il rapimento di Sternberg e della Dietrich. O giù di lì.
L’obiettivo del doppio prelievo forzoso di persona era il rilancio dell’industria cinematografica della Corea comunista, fiaccata da film tutti uguali, da trame infantilmente ideologiche e dalle troppe lacrime, lacrime come se piovesse. Ma cos’è, si chiede Kim Jong-il, un funerale? Sì, perché il colpaccio del documentario è aver recuperato gli audio pirata carpiti dalla coppia con un sistema davvero poco rocambolesco: un piccolo registratore in borsetta.
La storia prosegue con cinque anni di prigionia per lui e di «vita da bambola» per lei, alla corte del figlio del tiranno Kim Il Sung. Terminati i quali i due vengono messi al lavoro con risultati che danno ragione al delfino: sfornano 17 film in due anni (cifra sparata da Choi ma non confermata da fonti internettiane), girano per festival, vengono premiati e acclamati a Mosca e finiscono persino nei salotti buoni dell’ovest, Berlinale compresa. Un dettaglio, questo, che giustifica la selezione per Panorama Dokumente.
The Lovers and the Despot racconta una storia che ha dell’incredibile e che merita di non essere rivelata fino in fondo. Lo fa attingendo a un tesoro di fotografie ufficiali ed eroiche audiocassette, oltre che inserendo un po’ di azione tramite un montaggio di frammenti da film sudcoreani di Shin, scelti per analogia a seconda della materia trattata. Le teste parlanti sono critici, uomini dei servizi segreti e cinematografari, ma soprattutto lei: Choi Eun-see, l’ex Loren sudcoreana, ancora tra noi al contrario di Shin (scomparso nel 2006). L’impostazione BBC, impeccabile e scolastica, disinnesca parte della potenza detonante di questa storia a base di guerra fredda, strani amori e deliri di un tiranno «piccolo come una merda di cane», come si definisce lui stesso per rompere il ghiaccio con Choi. Storia perfetta per un film. Il finale mostra i piagnistei di stato in occasione dei funerali del grande leader e del caro leader. Come dire: svanito il sogno del cinema da esportazione, resta solo l’ipnosi collettiva di una terra in trance.