Il cinema di Patricio Guzman si lega ancora una volta agli elementi della natura, il deserto di “Nostalgia for the light” lascia il posto all’acqua, in una commistione tra documentario naturalistico, ricerca etnografica, film saggio ed elegia poetica, ed è forse proprio quest’ultima caratteristica a falsificare tutte le intenzioni storiche del regista cileno, troppo impegnato a costruire un disegno allegorico chiarissimo che dall’infinitamente piccolo passa, con un procedimento didattico, ad una visione collettiva.
Il risultato è un ibrido indigeribile, che alterna macrofotografia ai volti ancestrali dei sopravvissuti della Patagonia, testimoni di una cultura annientata che Guzman intervista cercando di recuperare il suono di una lingua perduta e quella relazione con l’elemento acquatico che il cile contemporaneo ha completamente dimenticato.
L’estinzione dei nativi si sovrappone alla ricostruzione di una pagina oscura della storia cilena, legata alla prigione di Dawson, vero e proprio lager politico e teatro di uno sterminio ai danni dei sostenitori di Allende, una contrapposizione tra vita e morte dove il mare rappresenta entrambe attraverso un processo di trasformazione e adattamento della natura, che restituirà le tracce dell’orrore mutate dal ciclo dei processi sedimentari.
Guzman inserisce anche alcuni momenti di arte performativa, con l’allestimento di un’installazione che riproduce l’estensione geografica del cile attraverso la stratificazione di materiali naturali; conferma delle ambizioni trans-mediali del regista cileno, che non contento, inserisce anche alcune sequenze CGI sul modello di quei documentari scientifici realizzati a scopo formativo.
Le immagini più potenti alla fine sono i primi piani sui volti dei nativi sopravvissuti, unico elemento che ci avvicina alla storia delle vittime, come accade in modo più coraggioso e incompromissorio nel cinema di Joshua Oppenheimer; tutto il resto è un disastroso pasticcio di valenza totalmente accessoria che vorrebbe collocarsi all’altezza di un cinema totale senza sporcarsi con la terra o bagnarsi nell’acqua.