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The Special Need di Carlo Zoratti: la recensione

Quando ci imbattiamo in una persona disabile, spesso la curiosità ci spinge a pensare a come sarà la sua vita quotidiana, a come riuscirà ad adempiere alle necessità primarie, a mangiare, a lavarsi, a dormire. Poche volte però ci chiediamo se dietro a quei bisogni primari ci sia anche altro, ci sia, ad esempio, il desiderio. Il desiderio dell’amore, del sentimento, del piacere fisico.

The special need, opera prima del giovane regista Carlo Zoratti, rappresenta proprio questo, il desiderio di Enea, ragazzo trentenne affetto da autismo, di amare, di costruire un rapporto sentimentale con una ragazza. Da un’idea semplice, e proprio per questo forte e intensa, nasce un film da ricordare, genuino nella volontà di mettere in scena la diversità e fresco nell’affrontarla evitando la trappola della retorica. Enea è un ragazzo autistico giunto alla soglia dei trent’anni che vorrebbe finalmente fare l’amore e incontrare la donna della sua vita. Due amici, Alex e Carlo (il regista stesso) decidono di portarlo prima in un bordello in Austria e poi in un centro di assistenza sessuale in Germania per fargli provare l’ebrezza del piacere fisico. A metà tra documentario e film on the road, con il tema del viaggio come presa di coscienza e processo di formazione, The special need ha il merito di superare le distanze, di mostrare come dietro la malattia ci sia solo la spontaneità di voler affrontare la vita andando oltre l’impaccio della disabilità.

Gli intenti del film sono stati raggiunti in pieno. Oltre ai vari riconoscimenti ottenuti (miglior documentario al Trieste Film Festival, vincitore della sezione German Competition al Dok Leipzig di Lipsia), The special need dimostra ancora una volta come il cinema indipendente italiano, quello che si muove ben al di là dei confini del circuito ufficiale ma che riesce a trovare, malgrado tutto, uno spazio, sia ricco di iniziativa e di progetti di qualità. Zoratti è friulano, fa parte della scuola di Udine, una realtà molto viva soprattutto dal punto di vista dello sperimentalismo visivo (da ricordare Lorenzo Bianchini e il suo cinema sovrannaturale). E grazie alla commistione tra arte e vita, quella vera, il film coglie nel segno, aprendo profonde riflessioni sul senso della diversità e su come sia complicato abbattere i pregiudizi, che purtroppo sono ben radicati anche nelle istituzioni e nelle politiche sociali.

Infine, due parole sulla recitazione e su come è stato girato il film. Il regista Carlo Zoratti ha deciso di mostrarsi, di entrare dentro l’inquadratura. Scelta obbligata perché Enea, durante le riprese, tendeva a guardare in macchina per cercare lo sguardo dell’amico regista. Alla fine la presenza di Zoratti davanti alla macchina da presa dona al film maggiore naturalezza, favorendo una recitazione che parte dal canovaccio scritto ma lascia ampio spazio all’improvvisazione e all’istinto di Enea, punti cardine di questo racconto. Anche la decisione di girare l’intero film con una piccola cinepresa a mano alimenta l’immediatezza e permette di seguire il percorso di Enea, la sua voglia di affrontare la vita, la sua capacità di andare oltre la malattia, alla ricerca di una vita normale.

 

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