È un film commovente e coinvolgente Earth To Echo di Dave Green. Un’opera che riesce a restituire la magia e lo stupore di alcune produzioni anni ’80, in particolare quelle Spielberghiane. Gli evidenti richiami ai classici per famiglia degli anni ‘80, come E.T, The Goonies o Stand By Me, si percepiscono chiaramente. È come riscoprire un sapore dimenticato, una rivisitazione in chiave moderna delle avventure vissute insieme ai ragazzacci di quella generazione.
In una piccola periferia del Nevada, l’affiatato trio di ragazzi, Tuck, Munch e Alex, dopo aver ricevuto degli strani messaggi sui loro telefonini, si ritroveranno a vivere un’avventura inaspettata nella loro ultima notte insieme. Il loro quartiere è infatti minacciato dal progetto di costruzione di un’autostrada che costringe le loro famiglie a traslocare. E alla ricerca della fonte da cui si generano quei segnali misteriosi, finiranno con l’incontrare e aiutare un’amichevole entità aliena che vuole ritornare a casa.
È una condizione condivisa quella tra i tre giovani reietti e l’alieno smarritosi sulla terra. La precarietà a cui sono condannati crea un forte legame empatico verso il misterioso visitatore dello spazio. Ciò di cui sono alla ricerca è il loro diritto all’esistenza, il bisogno di uno spazio familiare, l’individuazione di alcune certezze. Un viaggio e un magico incontro che li porterà a maturare però la consapevolezza che, se persiste il forte e sincero senso di amicizia, le distanze non contano, anche se queste si misurano in anni luce.
Ma l’aspetto più originale e vivo del film risiede proprio nel linguaggio e nelle scelte stilistiche adottate, all’approccio decisamente found footage, si sovrappongono le immagini in soggettiva inquadrate dai dispositivi digitali: una spy-cam ad altezza occhiali, alcuni video di sorveglianza, l’occhio degli smartphones, in tutti i casi è una prospettiva frammentata che allinea l’occhio disincarnato dei nuovi mezzi digitali al modo di osservare la realtà dei giovani protagonisti, versione aggiornata e “mobile” di un’elegia epica radicata nella cultura anni ’80; in questo senso Dave Green riesce magistralmente a cogliere lo spirito di quei film rileggendolo alla luce di un nuovo modo di osservare la realtà.
Non sorprende quindi che il film, capace di parlare trasversalmente a più di una generazione, si sia aggiudicato il premio del pubblico per questa edizione del Trieste Science+Fiction.