L’ultimo lavoro di Amos Gitai è un opera potente ambientata negli anni quaranta del ‘900, racconta di una giovane donna ebrea, Tsili, rifugiatasi in una foresta nei pressi di una zona di
combattimento durante la seconda guerra mondiale. Incontrerà Marek, altro ragazzo ebreo che dopo un viaggio in cerca di cibo non tornerà più. A guerra finita, Tsili lascia il suo nascondiglio, intraprendendo un cammino che la porterà ad incontrare i sopravvissuti dei campi di concentramento pronti ad un viaggio per mare diretto verso un’altra terra.
“Israeliani e palestinesi devono cominciare a riflettere e a cooperare per il meglio” dichiara Amos Gitai nella conferenza stampa per “Tsili” fuori concorso a Venezia 71. “Sono solo un architetto che fa film, ma so che il mondo non è fatto da fucili, è fatto dalle idee.”
Perché ha scelto proprio il racconto di Aharon Appelfeld rappresentare la Shoah? E come mai il film è parlato in Yiddish?
Amos Gitai: Penso che l’olocausto venga strumentalizzato e usato come arma politica oggigiorno. Il libro di Aharon non è un arma di questo tipo, si limita a lasciar parlare gli eventi, per questo mi è piaciuto ed ho deciso di adattarlo. Per quanto riguarda la scelta della lingua, durante la lavorazione del film ho scoperto che l’ultimo film parlato in Yiddish era del 1947. “Tsili” è un film che gira intorno alla volontà di dare traccia a qualcosa che è scomparso, il problema della memoria. Usare quella lingua, che è sempre meno parlata, è quindi un modo per sottolineare questo aspetto del film.
Ci può spiegare le scelte musicali compiute per il film?
Gitai: Alexey Kochetkov ha composto le musiche. Avevamo già lavorato insieme, presso il teatro di Avignone. La decisione intrapresa per il film è stata quella di eliminare le musiche fino a quando si rappresenta la guerra, e quindi lasciare spazio ai rumori e suoni. La musica ha inizio solo quando finisce la guerra.
Alexey: è stato difficile capire il tipo di musica da usare per accompagnare al meglio l’atmosfera di questo film. I brani che lo accompagnano sono in parte introspettivi in parte ritmici, spero di aver sottolineato correttamente le emozioni che vuole esprimere l’opera.
Questo film fa riflettere anche sulla contemporaneità, quanto pesa in Israele il fatto che il razzismo sia così aumentato e la minaccia di terrorismo sia così tangibile?
Le voci razziste crescono, ma Israele deve essere aperta e comprensiva, come anche i palestinesi, e deve prendere la questione seriamente. Sono sicuro che ci sarà la pace, ma quante vittime cadranno prima di questa? In ogni caso sono solo un architetto che fa film, ma sono cresciuto in una famiglia con dei principi e dei pensieri, e non credo che il mondo sia fatto dai fucili, ma dalle idee. Non è la forza che ci porterà all’accordo, ma sarà la voce a farlo