Home news Un Monstruo de mil cabezas di Rodrigo Plà – Venezia 72, Orizzonti

Un Monstruo de mil cabezas di Rodrigo Plà – Venezia 72, Orizzonti

Nel cinema di Rodrigo Plà la morfologia dello spazio è una diretta conseguenza di quella paranoia che ha ridotto l’estensione dell’ambiente sociale; le zone, il deserto, il parco, gli ospedali, sono passaggi ai margini della città entro i quali si muovono i personaggi dei suoi film, scritti insieme alla sodale Laura Santullo e intrappolati in un segmento sempre più angusto dei grandi complessi urbani. Il mostro dalle mille teste, oltre a riferirsi al corpo mutante di un potere che non riesce più a distinguere il centro nevralgico della propria rete, indica in qualche modo uno sguardo asimmetrico, lo stesso che regola edifici e sguardi panottici. Ma rispetto al teleschermo Orwelliano che non si può spegnere o al modello carcerario di Jeremy Bentham, i film di Plà e soprattutto questo, sono costruiti con uno slittamento percettivo che svuota l’autorità dell’osservatore rendendolo immateriale. Nell’odissea di Sonia Bonet (Jana Raluy) alla ricerca di uno stato di diritto ormai regolato dalle grandi aziende assicurative, la malattia terminale del marito diventa l’unica certezza dello sguardo insieme all’arma da fuoco che può consentirle di guadagnare un raggio d’azione lineare, anche in senso puramente spaziale e narrativo, altrimenti negato da un’organizzazione illeggibile della società.

Non è quindi così binario come sembra l’ultimo film dell’autore messicano, soprattutto per l’utilizzo di focali strette e la riduzione progressiva della profondità di campo nel tentativo di descrivere uno sguardo disorientato, perso in un labirinto e continuamente ri-allocato rispetto all’osservatore.

Un Monstruo de mil cabezas marca in modo sin troppo esplicito questo cambio di prospettiva, rilanciando la stessa azione da punti di vista alternativi, proprio per suggerirci che il dispositivo del potere è una macchina celibe che inghiotte e sorveglia se stessa.
Da una parte l’impossibilità di muoversi nello spazio urbano, la cui accessibilità viene mostrata da Plà come un’esfoliazione progressiva delle stanze del potere; non solo gli uffici della burocrazia con cui Sonia e il figlio devono confrontarsi, ma anche gli interni lussuosi dove vive il medico che dovrebbe seguire suo marito, la sauna dei soci maggioritari, il grande complesso aziendale in cui si svolge lo scontro conclusivo; dall’altra la posizione, quasi sempre periferica, che la macchina da presa occupa, quasi ad indicare un punto di vista svuotato, l’occhio meccanico di un sistema di sorveglianza fuori controllo.

Lo scontro sociale non è allora più distinguibile, tutti sono vittime della stessa violazione ad un grado diverso dell’organizzazione sociale, proprio perché lo spazio d’interazione viene otticamente disarticolato, eliminando la dimensione del confronto.

Ancora una volta, il Messico delle grandi contraddizioni e delle prigioni urbane torna nel cinema di Rodrigo Plà attraverso l’identificazione di uno spazio privato che può delinearsi solo attraverso la distruzione anarchica e cieca di tutte le barriere, lotta disperata e immediatamente vanificata da uno schermo quadripartito che seziona l’aula di un tribunale e consegna l’immagine del potere stesso, en abyme, al destino di un proibizionismo pervasivo senza un grande fratello a cui indirizzare il senso della rivolta.

Exit mobile version