Ambientato in un piccolo centro vicino ai luoghi dove è cresciuto Matteo Oleotto, Zoran il mio nipote scemo è la storia di Paolo Bressan, quarantenne etilista, bugiardo e cinico, vive lavorando in una mensa per anziani ed è separato da Stefania, che dopo averlo sopportato per anni, le ha preferito il più inquadrato Alfio. La morte improvvisa di una vecchia Zia slovena invece di un piccolo tesoretto, gli lascia in eredità un nipote autistico, Zoran, ragazzino ossessionato da una serie di fisse, e con un controllo quasi assoluto nel gioco delle freccette. Dopo un iniziale rifiuto, Paolo penserà bene di far soldi iscrivendo Zoran al campionato che ogni anno si tiene a Glasgow; il periodo di preparazione innescherà un intreccio di situazioni quotidiane che vedranno Zoran relazionarsi con gli abitanti del luogo e Paolo cambiare progressivamente i suoi irrecuperabili atteggiamenti.
La commedia di Matteo Oleotto sta effettivamente tutta quì dal punto di vista narrativo, con una semplicità che non cerca l’innesco di un meccanismo a tutti i costi e sviluppa sopratutto la caratterizzazione dei personaggi, cercando quella relazione attiva tra spazio performativo e ambiente, che ben si integra con le radici di un territorio dalle forti connotazioni tradizionali; è quindi la ricchezza locale che interessa al regista Goriziano, la vità di una comunità che è possibile osservare scrutando i volti dei vecchi in trattoria, le forme gergali del linguaggio, le piccole meschinità e la grandezza d’animo delle persone e persino le cattive abitudini di Bressan, uno strabordante Giuseppe Batttiston che si mangia quasi tutto il film, sintesi di alcune attitudini che rivelano il pericolo di un ripiegamento su se stessa di una qualsiasi piccola comunità
In questo senso Oleotto è abilissimo nell’individuare le forze opposte che attraversano i piccoli centri, sempre in bilico tra un fortissimo senso creativo di riscatto (le freccette, il coro del paese) e la possibilità che tutto si dissolva nell’apatia (la trattoria, l’alcool)
Zoran il mio nipote scemo è una piccola commedia “oratoriale”, senza ovviamente che il termine assuma una caratteristica negativa, secondo noi traduce bene quel senso positivo che era possibile respirare nei circoli ricreativi dei piccoli centri, responsabili di aver rappresentato una vera e propria ancora di salvezza per molte persone
Oleotto sembra a un certo punto scegliere il percorso di redenzione di Bressan come elemento centrale del suo film, contrapponendo la sua forza cinica e a tratti ditruttiva, con la semplicità positiva del gruppo di canto religioso e tradizionale; in realtà questo gli serve per creare un’atmosfera quasi astratta, fuori dal tempo, come se si trattase di una commedia di Luigi Zampa tra realismo e magia, declinata con i tratti di certa comicità surreale dell’est, basta pensare alla scelta cromatica del film, tra il grigio e il marrone, quasi a restituire i colori della natura locale ma anche l’atmosfera plumbea e inerte dei piccoli centri.
Le azioni dei personaggi allora sono osservate con più rigore antropologico di quello che ci si potrebbe immaginare, perchè tra l’oratorio e l’alcool, anche se in alcune sequenze forse si sfiora una certa drammaturgia buonista di stampo televisivo, Oleotto non sceglie in modo così manicheo e guarda con lo stesso rispetto, i vecchi alcolizzati che giocano a carte, Bressan che spacca tutto e la varia umanità che si stringe attorno alle prove del coro; una semplicità e un’onestà di fondo che funziona.