Tra i ritorni più attesi a Cannes per la 65esima edizione del Festival c’è senz’altro quello di Leos Carax. Autore tra i più eclettici e singolari, critico e sceneggiatore oltre che regista, Carax torna a dirigere un lungometraggio a ben tredici anni dal controverso Pola X, già in concorso per la Palma d’Oro nel 1999 e incentrato sul romanzo Pierre o delle ambiguità di Herman Melville. Quest’anno sarà Holy Motors a raccogliere l’estro poetico di Alexandre Oscar Dupont (questo il vero nome dell’artista), una piccola produzione francese che ha l’obiettivo di rilanciare Carax sulla scena internazionale dopo il provvisorio accantonamento di un ambizioso progetto in lingua inglese che avrebbe richiesto un budget di ben venti milioni di dollari. Ambientato in una Parigi dai tratti futuristici- dove, tanto per dirne una, gli indirizzi web hanno sostituito le date di nascita sulle iscrizioni tombali!- Holy Motors mostra 24 ore della vita di DL, protagonista anonimo e polimorfo. Continuamente scisso in ruoli diversi, ora giovane ora anziano, ora ricco, ora indigente, DL è “l’uno, nessuno, centomila” che fa da perno a una girandola di relazioni e di vite parallele. A interpretarlo è Denis Levant, attore-feticcio del regista, per il quale ha già lavorato in Boy meets girl (1984), Rosso sangue (1986) e Gli amanti di Pont-Neuf (1991) oltre che nell’episodio “Merde” del più recente Tokyo! (2008). Lo affianca un cast a dir poco eterogeneo, in linea con le scelte eccentriche di Carax: accanto a Michel Piccoli, che avevamo lasciato tra i cardinali di Habemus Papam (Moretti, 2011), figurano un’Eva Mendes acconciata à la Amy Winehouse e la pop star Kylie Minogue. Completano il quadro Edith Scob e Jean-François Balmer mentre l’attesa partecipazione di Juliette Binoche, un tempo attrice e compagna di Carax, è stata ritrattata in corso d’opera. Tra i credits più noti si distinguono Yves Cape, già direttore della fotografia per Il primo uomo di Gianni Amelio (2011) e Florian Sanson che ha curato, tra le altre, le scenografie di Venere Nera (Kechiche, 2010). Il film si inserisce perfettamente nella poetica del regista confermandone l’attenzione per lo smarrimento dell’uomo contemporaneo, l’inconsistenza delle sue relazioni e il potere delle sue reveries, oltre a riflettere sul linguaggio cinematografico attraverso una miscela di generi differenti. Non resta che attendere il 16 maggio per il ritorno di quello che la connazionale Caroline Deruas ha definito “il più grande poeta punk del cinema francese”.