venerdì, Novembre 22, 2024

Korea Film Fest 2011, tavola rotonda con Ruggero Deodato, Lee Kyoo-man, Bong Joon-ho.

Il Florence Korea Film Fest, quest’anno alla sua nona edizione, ha ospitato un momento di stimolante dibattito sulla cinematografia coreana di genere thriller, rappresentata in quest’occasione dai due maestri della nuova generazione Lee Kyoo-man e Bong Joon-ho, e la tradizione italiana ricordata e analizzata dall’esuberante Ruggero Deodato, regista di numerose pellicole di genere a cavallo degli anni 70 e 80 e autore del controverso film cult Cannibal Holocaust (1980) punto riferimento per Quentin Tarantino ed Eli Roth (per il quale è stato anche attore in Hostel 2).

Ha moderato l’incontro, al quale ha partecipato Margherita Chiti della Sacher Distribuzione insieme al regista Leonardo Cinieri Lombroso, Marco Luceri.

Bong Joon- ho, protagonista di questa edizione del Festival, ha esordito:« Il lavoro di registi italiani come Dario Argento è stato di grande ispirazione. Il mio impegno nel realizzare film thriller è costante, anche se, quando ho iniziato non era il genere più richiesto sono andato avanti con ostinazione.»

Come mai vi siete è avvicinati al genere thriller?

Lee Kyoo-man: « Mi interessava raccontare la sofferenza degli individui e trovo questo un genere particolarmente adatto perché rafforza i sentimenti, li amplifica. Se dovessi definire i miei film direi che sono una via di mezzo tra il thriller e il dramma, ma la strada che mi interessa di più è sicuramente quella del thriller. In Wide Awake/Return ho raccontato un killer seriale divenuto tale in seguito ad un trauma infantile che è un tratto comune a molti dei protagonisti dei film di Dario Argento.»

Il thriller italiano si è spesso contaminato con elementi horror, cosa ha rappresentato questo genere nel cinema italiano del dopoguerra?

Ruggero Deodato: «Io sono un regista poliedrico, ho iniziato sotto l’influenza di Rossellini e Bolognini. Quando all’inizio della mia carriera mi proposero di fare un film musicale non ne volevo sapere, avevo paura che così avrei rinnegato le mie origini; fu proprio Bolognini a suggerirmi di farlo, aggiungendo che pure lui aveva cominciato dirigendo un film intitolato Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo. La mia più grande paura era quella di debuttare e bruciarmi, ma poi mi sono detto che un buon regista deve girare di tutto. Il thriller è arrivato più tardi. Nei thriller italiani c’era un alto tasso d’azione ma anche e soprattutto di erotismo che faceva avere loro davvero un grande successo all’estero, specialmente nei paesi orientali. Quando ho cominciato a girare Cannibal Holocaust non avevo in mente un progetto preciso, ma facevo quello che mi passava per la testa e quando mandavo dei giornalieri al mio produttore lui già riusciva a vendere il prodotto sulla base di quel poco materiale girato. In quel film trucchi ed effetti speciali sono tutti realizzati in modo assolutamente artigianale (Tarantino va matto per questi aneddoti), ma d’altronde è quello che era il nostro cinema: pura inventiva. Il thriller io l’ho fatto sempre cercando di metterci un’impronta rosselliniana, cioè di realismo, come per esempio in Un delitto poco comune nel quale Micheal York doveva progressivamente sembrare sempre più vecchio e lo faceva grazie agli splendidi trucchi di Sforza. Ma ho anche giocato, facendo morire la gente a colpi di gettone o chiusi in una lavatrice. In Giappone hanno avuto successo non solo i miei film estremi sul cannibalismo, ma anche L’ultimo sapore dell’aria, un film sentimentale per il quale, quando staccavano il biglietto all’entrata del cinema, consegnavano al pubblico anche kleenx per asciugare le lacrime. Posso dire di aver spaziato e credo che questa sia la qualità di un grande regista, come fa Spielberg ad esempio.»

Margherita Chiti della Sacher Distribuzione: «In Italia attualmente il mercato è dominato dalle commedie e dai blockbuster americani. Non so se questa situazione sia imputabile ai distributori, agli esercenti o al pubblico, ma il fatto è che ci sono sempre meno spazi e anche in tv proporre qualcosa di diverso è molto difficile. Forse quello che manca è un po’ più di coraggio, da parte di tutti.»

Leonardo Cinieri Lombroso che ha presentato al festival il suo Through Korean Cinema che indaga l’origine dell’affermarsi della cinematografia coreana ha sottolineato : «La nostra storia è molto diversa rispetto a quella coreana, dopo una lunga repressione sono riusciti ad esplodere con la forza di un’onda negli anni novanta. Sono il vero cinema moderno, quello più estremo. La loro storia sociale, politica e culturale e molto forte e ciò emerge prepotentemente proprio nei loro thriller che hanno spesso una marcata componente di violenza.»

A proposito dell’umorismo che è una componente di spicco di queste pellicole Bong Joon- ho ha affermato: «Spesso l’umorismo non è inserito volontariamente da noi autori, ma si presenta come parte delle umane reazioni agli eventi narrati. Mi capita spesso, per le mie ricerche prima di un film, di incontrare dei veri poliziotti e ho visto la loro frustrazione tramutarsi in aggressività. Bisogna capire che il lavoro di un detective nella Corea degli anni 80 era molto difficile soprattutto a causa dell’arretratezza e per la mancanza di strumenti d’indagine raffinati; capitava quindi che spesso ci si affidasse a dei sensitivi o alla violenza: picchiare un sospettato fino a farlo confessare spesso mandandolo incontro alla morte.»

Lee Kyoo-man: «Bong è bravissimo ad inserire elementi comici, io lo sono decisamente meno. Nel mio nuovo film ho provato a far ridere, ma ammetto di non esserci riuscito così bene. Gli argomenti che tratto sono indubbiamente molto duri e tragici e io cerco di mantenere, nel girarli, un ritmo flessibile. »

Ruggero Deodato: «Spesso le scene più comiche anche in un film con una tematica seria la risata è accidentale: mi è capitato spesso che qualcosa che avevo girato fosse involontariamente comico e ho sfruttato questi momenti inserendoli nel montaggio. Penso alla scena di Cannibal Holocaust nella quale le donne masticano e sputano il caucciù nella coppa prima di offrirlo al professore. La stessa famigerata scena dell’uccisione del maialino me la suggerì una costumista: eravamo stufi di mangiare tutte le sere un pesce, il dorado, che ha un cattivo sapore. Quel film mi ha valso 4 anni con la condizionale e per molto tempo ho tirato avanti grazie agli spot pubblicitari. In Francia sono stato soprannominato Monsieur Cannibal, e in Hostel II ho recitato la parte del cannibale in un cameo.»

A proposito dei soggetti dei thriller presentati nella rassegna fiorentina, che spesso trattano di fatti realmente accaduti, abbiamo domandato agli autori presenti se in Corea, come in Italia, c’è questa così grande attenzione da parte dei media verso la cronaca nera, e se questo costituisca per loro una qualche ispirazione: Bong Joon- ho: «Sì, in Corea l’interesse dei media per questo tipo di casi c’è ed  forte, ma così come nasce viene poi in fretta dimenticato. Il mio intento è stato anche quello di ricordare che, anche se ormai molti anni fa, è successo un fatto grave, molto drammatico. La tendenza dei media, a volte, è trasformare queste storie in prodotti commerciali, io ho cercato più di ricordare e provare a restituire una dignità; purtroppo però, dopo un po’ di tempo, anche i nostri film vengono dimenticati. Durante la lavorazione di Memories of murder mi è successa una cosa strana: mi ero talmente immedesimato nella storia che mi ero messo in testa di trovare io il colpevole!»

Lee Kyoo-man : «Credo che il tratto distintivo di un buon film thriller che si basi su eventi realmente accaduti sia il punto di vista con il quale il regista decide di raccontare la storia, che non deve essere quello asciutto dei media, ma quello personale più empatico. Per quanto mi riguarda io ho sempre paura di non riuscire ad avere questa capacità, perché quando racconti un fatto di cronaca reale questo ti pone obbiettivamente dei limiti. Forse un giorno diventerò più bravo e più flessibile.

 

Redazione IE Cinema
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