Dopo otto anni di ottimi risultati, il terzo mandato di Marco Müller per la direzione del Festival Veneziano sembrerebbe compromesso da ragioni non del tutto chiare. Da qualche giorno, sui principali quotidiani nazionali rimbalzano gli estratti di un’intervista rilasciata dal direttore del Festival di Venezia all’Ansa, dove emergono alcuni riferimenti sui rapporti non troppo buoni con Paolo Baratta, la cui recente riconferma come presidente della Biennale rappresenterebbe un ostacolo effettivo alla nuova nomina di Müller. Nel frattempo, dopo aver ricevuto una serie di richieste esterne, secondo un articolo di Gloria Satta pubblicato da Dagospia un paio di giorni fa, Müller dovrebbe prendere proprio il posto della Detassis alla guida del Festival di Roma, nomina che sarà formalizzata il 13 gennaio, ma che secondo la Satta sarebbe il risultato di un accordo già sicuro che con la spinta di Renata Polverini (sostenitrice di Müller) avrebbe definitivamente convinto un riluttante Alemanno. Per Venezia oltre al nome dell’ottimo Alberto Barbera, che secondo un articolo di tre giorni fa del Fatto quotidiano avrebbe già rifiutato, mentre per un più recente pezzo de Il Gazzettino sarebbe ancora papabile, si parla anche di Giorgio Gosetti (Giornalista Ansa, direttore delle Giornate degli Autori) Enrico Magrelli e della stessa Detassis. Il consiglio di amministrazione della Biennale si riunirà proprio in questi giorni e dovrebbe tirar fuori dal cilindro un nome poco dopo il 30 dicembre. E’ bene ricordare che il consiglio presieduto da Baratta (ex presidente del Nuovo Banco Ambrosiano e dell’Associazione Bancaria Italiana, uomo del riordino delle Partecipazioni Statali nel governo Amato) è formato dal sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, Luca Zaia (Regione Veneto, Lega Nord) Francesca Zaccariotto (Provincia di Venezia, Lega Nord) e il membro rappresentante del Ministero dei Beni Culturali Professor Emmanuele Francesco Maria Emanuele (avvocato cassazionista, economista, banchiere, esperto in materia finanziaria, tributaria ed assicurativa, presidente della Fondazione Roma). Quello che ci chiediamo, al di là di un “gioco” che coinvolge tutti quanti nessuno escluso, in un teatrino fatto di colpi di scena pre-programmati da equilibri di natura politica, è se realmente convenga alla Biennale di Venezia lasciarsi sfuggire Marco Müller e il suo Know-how; un insieme di conoscenze probabilmente sostituibile, ma allo stesso tempo legato ad una conoscenza diretta e approfondita della macchina Venezia, che per otto anni ci è sembrata funzionare molto bene, in un crocevia fecondo tra mercato e cultura. Siamo anche dell’avviso che la forza di Marco Müller nel costruire un festival apolide, sia un’applicazione più spettacolare (e forse più poliforme) del laboratorio introdotto da Alberto Barbera, la cui direzione aveva già sperimentato l’innesto di palinsesti molto difficili; dal nostro punto di vista (assolutamente sbilanciato sul piano del gusto) preferivamo Munk e Debord curati da Enrico Ghezzi alle ossessioni Cultuali di Giusti; questo per dire che un ritorno di Barbera con quello stesso spirito di sperimentazione, non ci dispiacerebbe affatto.