Un documentario di mezz’ora, Nuit et brouillard di Resnais, un’opera fluviale di nove ore e mezza, Shoah di Lanzmann, trovano il loro punto d’incontro nel guardare al passato restando ben saldi al presente, nulla concedendo alla spettacolarizzazione del dolore e a compromessi con la memoria. Lanzmann, in un processo di depurazione ulteriore, elimina quello che ancora in Resnais sopravvive, immagini girate nei lager all’arrivo degli Alleati, treni fantasma carichi di merce umana e adunate oceaniche scandite dal passo dell’oca e al grido di Heil Hitler, ma nel ’56 tutto era ancora poco noto e l’urgenza delle immagini premeva. Bisognava che l’incredibile non venisse sommerso da facili revisionismi o negato da supina ignoranza, e se la Arendt nel ’51 aveva già affermato che “… la nostra è la prima generazione divenuta pienamente consapevole delle conseguenze atroci che discendono da una linea di pensiero che costringe ad ammettere che tutti i mezzi, purché siano efficaci, sono leciti e giustificati per conseguire qualcosa di definitivo come fine.” (( Hanna Arendt, Le origini del totalitarismo, Bompiani, Milano, 2008, p. 168 )) bisognava aspettare qualche anno perché la “banalità del male” divenisse il punto di partenza di ogni indagine, l’assioma senza il quale tentare di capire è impossibile. Resnais prima, Lanzmann poi, hanno dato rilievo plastico all’indicibile, declinato l’orrore nell’ assenza di tracce fra baracche disseminate in spazi coperti di erba nuova, binari in disuso circondati da strade dove la vita scorre indifferente, e nomi come Auschwitz-Birkenau, Oswiecim, Malopolskie, Majdanek, Lublin, Lubelskie, Dachau “sono scritti sulle guide come altri”. Jean Cayrol, poeta, romanziere e saggista, sopravvissuto ai campi, scrive per Nuit et brouillard un testo in cui l’umorismo amaro investe di agghiacciante normalità l’epopea tragica: “Un campo di concentramento nasce come uno stadio, un albergo: imprenditori, preventivi in concorrenza tra loro, bustarelle. Lo stile è lasciato all’immaginazione…” e sfilano torrette di guardia in stile alpino, stile garage, stile giapponese, senza stile, e portali maestosi “che saranno varcati una sola volta”. Masse da tutta Europa si dirigono ai campi con le loro inutili valigie, file di bambini silenziosi escono da qualche porta di qualche improbabile asilo nel campo, eleganti SS dai lucidi stivali assistono con cani al guinzaglio, tutto è perfettamente funzionante, treni partono e treni arrivano, “la morte fa la sua prima scelta”, sete, fame, follia, asfissia, e all’apertura cadono giù cadaveri dai vagoni.
“La notte e la nebbia faranno il resto”, all’arrivo.
Sagome indistinte di soldati con fucili spianati nella nebbia aspettano che il treno si fermi, “oggi sullo stesso binario c’è il sole, lo si percorre lentamente, alla ricerca di che?”
La voice over di Michel Bouquet procede senza intonazioni, la vita si riappropria dello spazio attraverso il colore del presente, dirada il buio della notte e della nebbia in cui Hitler ordinò che sparissero “coloro che mettevano in pericolo la sicurezza della Germania”. In una divisa di tela a righe blu, Nacht un Neben, notte e nebbia era il suo nome, uomini rasati, numerati, tatuati, vissero all’interno di una gerarchia incomprensibile di cui erano il gradino più basso, ma “nessuna immagine è capace di rendere nella vera dimensione la paura ininterrotta”. C’è, in Nuit et brouillard, la dichiarazione dello scacco dell’uomo, incapace di andare oltre la superficie di quelle immagini usurate dallo sguardo e trasformate in musei. Eppure quelle immagini sono tutto quel che resta per pensare a notti e giorni di paura, fame, freddo e morte. All’orrido si accompagna l’assurdo, ed è la serra con le piante rare di Himmler, gli slogans che sembrano sberleffi (Il lavoro è libertà, L’igiene è salute, A ciascuno il suo), non manca neppure un’orchestra sinfonica che suona nella neve, mentre la “quercia di Goethe”, nel piazzale davanti alle baracche, gode di rispetto sconfinato e l’edificio del carcere dà un tocco surreale allo scenario, non è facile capire come possa un deportato essere anche incarcerato. Resnais ha guardato al passato parlando agli uomini del futuro di una bestia umana sempre in agguato, del sonno della ragione e dei suoi mostri:
Nel momento in cui vi parlo, l’acqua degli stagni nel cuore di gennaio è fredda e opaca come la nostra cattiva memoria.
La guerra si è assopita, un occhio sempre aperto.
L’erba fedele è tornata sugli spiazzi intorno alle baracche.
Un villaggio abbandonato ancora pieno di minacce.
Il crematorio è fuori uso, le astuzie naziste fuori moda.
Nove milioni di morti frequentano questo paesaggio.
Chi veglia da questo strano osservatorio per avvertirci dell’arrivo di nuovi carnefici?Avranno un viso diverso dal nostro?
Da qualche parte fra noi restano dei Kapo fortunati, dei capi recuperati, dei delatori sconosciuti. Ci sono quelli che non ci credevano. Ci siamo noi che guardiamo queste rovine come se la violenza fosse morta sotto le macerie.
Fingiamo di sperare di nuovo davanti a questa immagine che si allontana come se si guarisse da questa peste.
Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese e non pensiamo a guardarci intorno, e non sentiamo che si grida senza fine. (( Tutti i brani riportati, salvo quando altrimenti specificato, provengono dallo script del film. ))
Dove e come guardare “Notte e Nebbia” di Alain Resnais in streaming
Notte e Nebbia di Alain Resnais si può vedere sulle seguenti piattaforme: