Tra le proposte più innovative della sezione Orizzonti di Venezia 69 c’è senz’altro l’ultimo film di Koji Wakamatsu. Sia chiaro, il regista non è certo un novellino- ad oggi ha girato più di cento film- ma il suo rapporto con la critica è da sempre piuttosto controverso.
Dopo l’esordio nel 1963 con Dolce Trappola, Wakamatsu ha dedicato la sua produzione soprattutto al Pinku eiga, genere soft-core solo recentemente rivalutato. La rottura con la censura governativa è avvenuta peraltro nel 1965, quando il regista è stato selezionato alla Berlinale con I segreti dietro al muro, film considerato dal governo giapponese tutt’altro che idoneo a rappresentare il Paese in Occidente. La verità è che il cinema di Wakamatsu si è sempre distinto all’interno del genere per lo sguardo cupo e analitico sulla società e sull’animo umano. La cruda violenza che accomuna molti dei suoi film, il simbolismo che gravita attorno al corpo, l’esposizione impietosa della carne e della sua mutilazione o violazione, distinguono una poetica coerente e disturbante, abile nello sviscerare le angosciose bassezze di un’umanità corrotta. Venezia lo ospita dopo che i suoi ultimi due film, United Red Army (2008) e Caterpillar (2010) sono stati apprezzati alla Berlinale delle scorse edizioni.
The millennial rapture, questo il titolo dell’opera, è un adattamento dal romanzo di Kenji Nakagami, Mille anni di piacere, incentrato sulle storie intrecciate di giovani e dissoluti burakumin, una delle principali minoranze del Giappone, discendenti dei fuoricasta e tutt’ora discriminati. Ad interpretarlo sarà un cast di eccezione. Accanto alla pluripremiata Shinobu Terajima e a Sosuke Takaoka, già visto in 13 assassini di Takashi Miike (2010), figurano due volti altrettanto noti del cinema giapponese: Kengo Kora, amato dal pubblico per l’intensità che è in grado di conferire anche ai personaggi secondari, e Shota Sometani, insignito del Premio Marcello Mastroianni al Festival di Venezia dello scorso anno, come miglior giovane attore per il film Himizu (Sion Sono, 2011).
In un’intevista del 2006 Wakamatsu sosteneva: “Non mi curo molto dei critici, quindi, naturalmente, loro non si curano molto di me.” Chissà se la pensa ancora nello stesso modo.