Dopo l’esordio nel 1963 con Dolce Trappola, Wakamatsu ha dedicato la sua produzione soprattutto al Pinku eiga, genere soft-core solo recentemente rivalutato. La rottura con la censura governativa è avvenuta peraltro nel 1965, quando il regista è stato selezionato alla Berlinale con I segreti dietro al muro, film considerato dal governo giapponese tutt’altro che idoneo a rappresentare il Paese in Occidente. La verità è che il cinema di Wakamatsu si è sempre distinto all’interno del genere per lo sguardo cupo e analitico sulla società e sull’animo umano. La cruda violenza che accomuna molti dei suoi film, il simbolismo che gravita attorno al corpo, l’esposizione impietosa della carne e della sua mutilazione o violazione, distinguono una poetica coerente e disturbante, abile nello sviscerare le angosciose bassezze di un’umanità corrotta. Venezia lo ospita dopo che i suoi ultimi due film, United Red Army (2008) e Caterpillar (2010) sono stati apprezzati alla Berlinale delle scorse edizioni.
In un’intevista del 2006 Wakamatsu sosteneva: “Non mi curo molto dei critici, quindi, naturalmente, loro non si curano molto di me.” Chissà se la pensa ancora nello stesso modo.