Quasi un viaggio antropologico alla scoperta dell’inettitudine del maschio medio (mediorientale?), “Ok, enough, goodbye”, presentato in concorso all’ultimo festival di Torino (Premio Speciale della Giuria in ex aequo con “17 Filles”), è il racconto ironico e disincantato delle giornate vuote di un pasticcere libanese abbandonato dall’unica donna della sua vita, la madre. Brevi interviste e aperture sul paesaggio e la cultura locale intervallano la narrazione, contribuendo a creare un effetto da mockumentary, che ben si adatta allo sguardo neutro con cui il regista sembra assistere alle giravolte del suo protagonista, ometto che si affanna nel tentativo di dimostrare a una madre assente, prima ancora che a se stesso, di essere in grado di cavarsela da solo. Scapolo un po’ goffo, il protagonista si divide fra la piccola pasticceria di famiglia e la routine casalinga, lamentandosi spesso e volentieri dell’invadenza della madre, con cui trascorre amabili serate borbottando e giocando a carte. Di fronte all’indolenza del figlio, che non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare il nido domestico, sarà l’anziana signora a fare i bagagli, trasferendosi in una località imprecisata, dopo aver provveduto a riempire il frigorifero di provviste. Improvvisamente solo in una casa deserta, l’uomo passerà attraverso la rabbia e il sollievo prima di rendersi conto di quanto la donna fosse in grado di riempire le sue giornate, riunendo i frammenti della sua esistenza sconclusionata. Tra prostitute sui generis e badanti etiopi, lo scorbutico pasticcere si metterà alla ricerca di una nuova compagna di viaggio, sempre più consapevole del fatto di essere incapace di stabilire rapporti umani duraturi, ma al tempo stesso tanto orgoglioso da non poter chiedere alla madre in fuga di tornare dal suo volontario esilio. Se anche il figlio dei vicini sembra snobbarlo o si ricorda di lui solo per avere in cambio qualche dolciume, mentre tutte le temporanee sostitute della madre abbandonano il campo, al termine della sua odissea l’uomo sarà costretto a cambiare genere di compagnia, accontentandosi della presenza di chi è in grado di chiedere ben poco in cambio.