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22 July di Paul Greengrass – #Venezia75 – Concorso: recensione

22 July

22 luglio 2011, Norvegia. Sono queste le coordinate di uno degli attacchi terroristici più tragici avvenuti in territorio europeo. In questa data, il fanatico di estrema destra Anders Behring Breivik, convinto di iniziare così una “nuova crociata” contro gli invasori dell’Europa, piazzò un ordigno esplosivo di fronte ad un complesso di edifici del governo norvegese, causando morti e pesanti danni alle strutture. Nelle ore successive, Breivik come noto si è spostato da Oslo verso l’isola di Utøya, che in quei giorni ospitava un campo estivo organizzato dall’ala giovanile del Arbeiderpartiet, il partito laburista norvegese. Arrivato sulla piccola isola fingendosi un agente di polizia incaricato di proteggere l’isola da eventuali attacchi terroristici, Breivik ha cominciato a sparare sui ragazzi. Il tragico bilancio è di centinaia di feriti e di 69 morti, l’attacco più letale avvenuto in territorio norvegese dai tempi della seconda guerra mondiale.

Breivik è in breve tempo diventato uno dei nuovi infami simboli del terrorismo di estrema destra, una macabra icona da non dimenticare al fine di prendere in seria considerazione le ideologie estremiste alla deriva e le cosiddette “crociate” di pericolosi lupi solitari. La necessità del ricordo giustificherebbe dunque la scelta di fare ricorso al cinema, come mezzo per ribadire il concetto e corroborare la condanna unanime del responsabile del massacro. A prendersi l’incarico è Paul Greengrass, regista che più volte all’interno della sua filmografia (che comprende anche alcuni film della saga di Jason Bourne) ha scelto di raccontare importanti e drammatici fatti di cronaca, da United 93 (sul tentato dirottamento di uno degli aerei nella fatidica data dell’11 settembre 2001) a Captain Phillips (sul dirottamento da parte di pirati somali della nave mercantile Maersk Alabama).

L’ultimo film di Greengrass intitolato 22 luglio rappresenta proprio la strage compiuta da Breivik nel 2011, dall’attentato di Oslo fino al processo in cui si è stabilita la sua ferma volontà di commettere quell’atto, messo da parte il riconoscimento dell’infermità mentale dell’attentatore. Il film, al di là evidentemente dell’importanza del ricordo, non stimola a formulare un commento più approfondito; film come 22 luglio cadono vittima di quella sindrome da spettacolarizzazione della cronaca, del fatto vero che il cinema può permettersi di rielaborare a partire dal materiale dei media (abbondante nel caso di fatti di cronaca nera e stragi), ma a quale prezzo?

Quello di una narrazione tanto vicina alla realtà da sembrarne una sorta di sterile “replica” cinematografica, che nulla aggiunge. Noti fatti, premesse ed esiti, resta l’idea di restituire un’atmosfera, di trasmettere un sentimento oppure, cosa più importante, di far emergere degli elementi nuovi, arricchendo dunque quella realtà assodata di cui si parlava. Oppure ancora, attraverso il cinema è possibile ricavare da questo materiale simboli o temi esemplari. Quando non vi si trova nulla di tutto questo, il potenziale del grande schermo è sprecato e i risultati non possono nemmeno definirsi di intrattenimento, perché certo si tratterebbe di un’espressione infelice.

22 luglio rientra proprio in questa categoria di film, come anche il precedente film di Greengrass, Captain Phillips, opere che altro non fanno se non ribadire ciò che è noto. Il film di Greengrass racconta per filo e per segno la vicenda dell’attentatore norvegese, focalizzandosi su alcuni aspetti: da un lato, la folle “missione” di Breivik, che rivendica un atto politico non frutto di un disturbo mentale. Dall’altro è messa in risalto la sofferenza dei sopravvissuti e delle loro famiglie, mostrata attraverso la vicenda di Viljar (Jonas Strand Gravli), ragazzo colpito più volte dai proiettili di Breivik fino a essere ridotto in fin di vita. Approfondito è infine il punto di vista dell’avvocato difensore del terrorista, una figura importante per capire l’aspetto politico del gesto di Breivik. Innocenza e lucida follia sono dunque i due poli di questo film, che purtroppo perde la sua energia nel suo mantenersi legato ad una struttura narrativa fin troppo convenzionale, che sembra adattare la vicenda della strage di Utøya a cliché di genere fin troppo evidenti.

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