L’analisi attenta e precisa di Erik Gandini mostra e scandaglia la trasformazione di un paese, la Svezia, attraverso un viaggio che dura quarant’anni, a partire dagli anni anni’70, periodo nel quale si decise di mutare completamente l’impianto statale, basando la nuova società sulla totale libertà e indipendenza dell’individuo, liberato da qualsiasi costrizione che impedisse la propria affermazione; una vera e propria rivoluzione avvenuta grazie all’ascesa al governo del Partito social-democratico guidato dall’ala più radicale.
Un cammino quello della società svedese verso il raggiungimento della “perfezione” non tanto dissimile da quello che Gandini individuò in “Videocracy”, vetrina attraverso la quale potere ed immagine televisiva si intrecciano in una corrispondenza a tratti inquietante: d’altronde le estremizzazioni della libertà di essere e di apparire sono assolutamente rassomiglianti proprio nel momento in cui vengono esacerbate e dunque svuotate del loro senso.
L’inquietudine di fondo rimane anche qui, nella narrazione di una “storia” che diviene “Storia”, poiché l’analisi dell’esasperazione dell’idea di autonomia individuale nella società svedese, diviene descrizione dei processi che riguardano la “vita liquida” come la definisce Zygmunt Bauman, il quale ipotizza una suddivisione ulteriore tra vita “online” ed “offline”, realtà che ci contraddistingue e ci avvolge tanto da determinare la nostra quotidianità spingendo sempre più verso l’accentramento dell’individuo, perso nella fitta rete del web, in cui l’imperativo principale sembra essere quello della bulimia di contenuti tipica dell’autoerotismo con eiaculazione precoce di chi si esprime senza criterio alcuno.
Partendo da una dimensione assai diffusa in Svezia come quella che vede donne single con il desiderio di maternità rivolgersi alla banca del seme (la più grande del mondo), piuttosto che ad un partner, Gandini ci pone un quesito: “Quale sarà il ruolo dell’uomo in futuro?”. Il primo di molti altri che rappresentano la spinta e la premessa de “La Teoria Svedese dell’Amore”, fino al completo capovolgimento di ogni singolo punto del programma fallimentare di un paese che ha voluto liberare le donne dagli uomini, i figli dai genitori, disfacendo in toto il concetto di “nazione”, “popolo”, “condivisione”, “famiglia”, “A Swedish theory of love to which authentic love and friendship is possible only between individuals who are independent and equal.”
Una promessa che sulla carta sembra allettare ma che in realtà ha prodotto un alto tasso di depressione, solitudine, suicidi, decessi di uomini o donne tanto indipendenti da essere ignorati e dimenticati per anni nei loro appartamenti. Una questione, allora, che va assai oltre la burocrazia e si innerva nel tessuto più profondo della società e dei sentimenti dell’individuo, costretto a svolgere il ruolo di mattoncino che va a comporre ordinatamente e senza lamentarsene, la struttura della comunità condotta da una politica sottilmente coercitiva.
E’ illuminante in questo senso il libro di Henrik Berggren e Lars Trägårdh “Is the Swede Human? – Radical Individualism in the Land of Social Solidarity”, opera che ha fatto letteralmente scalpore in Svezia per la sua spiazzante attualità e punto di avviamento da cui Gandini ha intessuto il proprio lavoro di disfacimento e messa in discussione: “The book claims that the supposedly “socialist” Swedes are, in fact, individualists in extremis”.
Viene colto in pieno il punto: il concetto di “individualismo” viene spesso travisato ed usato come nemico da quelle crociate religiose che lo paragonerebbero all’egoismo da una parte, mentre dall’altra, come in questo caso specifico, come condizione senza la quale non è possibile l’autoaffermazione ma soprattutto come negazione dell’altro da sé. Una prospettiva senz’altro spaventosa ma che, a detta di Bauman, è già sulla via dell’implosione su sé stessa, perché non fornirebbe alcuna occasione di svolta, ma un cortocircuito insanabile tra libertà e solitudine.