Michael Grandage arriva alla sua prima regia cinematografica dopo una lunga esperienza come produttore teatrale per lavorare sulla storia biografica dell’editore Max Perkins e del rapporto lavorativo e umano con uno dei suoi clienti, Thomas Wolfe.
Le capacità di Grandage come direttore artistico e produttore di oliatissime macchine teatrali si vede tutta, perché il film sostanzialmente punta alla performance dei singoli attori in una dimensione drammatizzata e percepibilmente “scritta”, fin dall’ingresso di Wolfe (Jude Law) nell’ufficio di Perkins con un incedere tanto tumultuoso e viscerale, quanto declamatorio, quasi fosse una traduzione plastica della sua prosa fluviale e oceanica costretta a ridursi nella forma gestibile, corretta ed editata da Perkins.
In questo senso Grandage contrappone abilmente lo stile attoriale di Law e quello di Colin Firth delimitandoli in uno spazio performativo senza variazioni, attraverso una sorta di duello affettivo che si consuma nello scambio drammatico della parola, tra misura ed eccesso. Un’esemplificazione di questo metodo è nella sequenza che vede Wolfe confrontarsi con la moglie Aline Bernstein (Nicole Kidman) proprio sul palco di un teatro, mentre questa sta preparando un ritorno sulle scene a cui tiene molto. Invece dei corpi l’interesse di Grandage è per una codificazione teatrale dei volti a cui destina un’idea di cinema legata all’impiego normativo dei primi piani, dei close-up, dell’espressione affettiva caricata di senso visibile, e non certo generata dal gesto o dagli spazi vuoti tra un’immagine e l’altra.
Genius è quindi un film riempito dalla parola e da una sovra-recitazione certamente formidabile e godibile, ma che non si preoccupa minimanente di seguire la prosa delirante ed errabonda di Wolfe (ci sarebbe voluto forse Malick) per cominciare a guardare, trattenendo al contrario tutto quanto nella dinamica della scena madre, come ad esempio quella in cui Nicole Kidman esaspera il gesto di un potenziale suicidio o prima ancora, di una volontà distruttiva e auto-distruttiva, puntando un piccolo revolver su Perkins.
Oggetti, pagine, abitazioni vuote, viste da sopra la città e il parossismo di Wolfe nel dover sfruttare qualsiasi superficie disponibile per scrivere, vengono ridotti ad oggetti di scena, nella scena, invece di generare aperture e spaccature, rivoli che potevano esondare da un fiume in piena.