Il Focus on Sebastián Lelio, appuntamento centrale della 49a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è stata importante occasione d’incontro con un autore non più solo promessa ma felice certezza per il Nuovissimo Cinema cileno, un cinema autenticamente giovane e nuovo, a pieno titolo erede del grande Nuovo Cinema della stagione di Allende costretto alla diaspora.
Laureato all’Escuela de Cine de Chile di Santiago, quattro lungometraggi al suo attivo (La Sagrada Familia 2006, Navidad 2009, El Año del Tigre 2011, Gloria 2013) un apprentissage partito nel 1996 con la realizzazione di corti, Lelio ha già raccolto premi e riconoscimenti internazionali (Gloria è stato uno dei film più applauditi all’ultimo festival di Berlino, Orso d’Argento per la migliore attrice,Paulina Garcia).Ultimo appuntamento prestigioso,The Berlinale Residency 2013 lo vedrà fra i sei registi selezionati con i loro progetti a Berlino,dal 15 agosto al 15 novembre 2013. Dunque un autore d’indubbio interesse, e non solo nel panorama latino-americano.
Fare film senza una storia, credere nei personaggi arrivando ad una storia fatta da loro, è la cifra ricorrente di un cinema che opta per un’impostazione teatrale ed un montaggio che separa con stacchi netti le inquadrature, predilige gli ambienti interni, illuminati artificialmente come scenografie teatrali, attinge al registro documentario per esterni fatti di campi lunghi e ariosi, dove sembra di poter rintracciare la traiettoria di un racconto lineare.Ben presto, però, il personaggio che plasma la storia riprende il sopravvento e la linearità si avvolge a spirale.
Accade anche là dove la cronaca s’impone come evento oggettivo, El Año del Tigre, con il terremoto e lo tsunami che nel 2010 devastarono il Cile e la fuga di circa ottocento detenuti da un penitenziario crollato nel sud del Paese. La tigre e l’uomo, connubio surreale in uno scenario reale, trasformano l’evento, ne riscrivono le coordinate: “Queste due figure,la tigre e l’uomo, si sono fuse in un’unica storia che per noi è stata immediatamente chiara,questa è l’idea del film. Un mistero nato dalla relazione fra queste due figure che si interconnettono fra loro e che ci appaiono come straordinarie. Una storia quasi surreale che però, per l’urgenza di filmare rapidamente, ha una dimensione di documento:fiction all’interno di un documentario.”
Lelio parla al plurale, nell’intervista che mette a fuoco aspetti del suo fare cinema. La costruzione dei suoi film parte da un brainstorming su cui viene elaborato un intenso piano di lavoro interattivo tra regista e attori. Nascono così legami di fiducia che lasciano grande spazio all’improvvisazione ma hanno solide basi nel riconoscimento comune degli obiettivi.
Girare la vita dimenticando la sua natura di testo cinematografico è scopo prevalente del regista, fare dello sguardo il centro gravitazionale dell’interesse espressivo e registrare una particolare esperienza di vita reale. Affrancare l’evento dalla cronaca senza perderne i contorni, farne oggetto di visione/creazione è quello che Lelio intende come “moralità” dello sguardo: “Quello che è moralmente molto complesso ed eticamente assai conflittuale è ciò che mi interessa di più.Penso che un regista debba trovare il modo di porsi in una situazione di conflitto etico per filmare, altrimenti te ne stai a casa e fai altro.”
I primi due lungometraggi nascono da un tema comune, la famiglia e il suo tramonto. Le conseguenze pesanti sui figli, incapsulati in formalismi castranti e con una voglia di identità che non sanno più come realizzare, fanno somigliare i loro incontri a quelli di naufraghi, per un attimo sullo stesso scoglio, e poi la corrente a portarli via.