Nel 1789 a San Pietroburgo il Teatro dell’Ermitage completò la costruzione del magnifico complesso di edifici voluti da Pietro il Grande e dalla zarina Caterina che ruotano intorno al Palazzo d’Inverno, residenza dei Romanov fino alla Rivoluzione d’Ottobre. Quinta di fondo del grande palcoscenico urbano che scorre lungo la spina centrale della Nevskij Prospect, l’Ermitage alle spalle ha il mare, confine estremo, finis terrae e origine di nuovi viaggi. Guardi, c’è il mare tutto intorno … e dovremo navigare per sempre e vivere, per sempre
Sono le ultime parole di Arca russa, un cammino nello spazio e nel tempo lungo saloni da ballo e gallerie di quadri, scaloni luminosi di marmo e anfratti bui, perspectiva artificialis e spazio reale di quello che fu un tempio del potere ed ora è un tempio dell’arte, territorio che ha visto accadimenti a cui la fantasia può ridar vita, impressionando in un magico gioco virtuale l’occhio occulto che ne percepisce i segnali e dà loro forma, movimento e voce. Tableaux vivants animati da personaggi storici e uomini del presente, come Mikhail Piotrovsky, attuale direttore dell’Ermitage, ufficiali e demoiselles dell’ ‘800 romantico che volteggiano al suono delle mazurke di Glinka, turisti di fine ‘900 catapultati da voli low coast a visitar pinacoteche, teatranti e ballerini che provano l’ultima mise en scéne per divertire la zarina e i suoi nobili, grandi orchestre (la Mariinskky Theatre Orchestra diretta da Valery Gergiev) e prestigiosi ensemble da camera (The State Ermitage Orchestra), tutto entra nell’occhio del cinema che si appropria per un giorno dello spazio, reinventa un tempo senza confini né montaggio, crea un unico piano-sequenza che alla quarta ripresa, dopo mesi di prove e risoluzione di innumerevoli problemi tecnici, si sviluppa ininterrotto e, con ritmo ondivago, quasi uno stream of consciousness trasferito in immagini, fonde in un unico spettacolo una commedia umana che, quadro dopo quadro, si srotola leggera, in contrappunto con le preziose tele alle pareti e i gruppi marmorei giunti da ogni parte d’Europa fin dai tempi dello zar Pietro.
Si comincia dal buio, lo schermo è nero, una voce, cerca di capire: Apro gli occhi e non vedo niente… niente finestre, niente porte.. Ricordo che è accaduta una disgrazia.. Tutti fuggivano per mettersi in salvo, ognuno come poteva.. quanto a me, non ricordo… Che strano, dove sono? …
L’occhio della steady cam (il film fu girato in digitale con una Sony HDW-F900 realizzata per l’occasione) si apre su un’allegra brigata in ricchi abiti di gala, stanno entrando nel palazzo ma sembrano disorientati fra stretti corridoi e scale buie, mentre la voce fuori campo incontra il Marchese Astolphe de Custine (Sergey Dreiden) un diplomatico francese, lo “straniero” dall’aria svagata e un po’ sorniona dell’uomo di mondo, ironico e dissacratore, a volte umorale, in lunga redingote scura post-Rivoluzione. Fa un cenno di saluto guardando in macchina, sembra essere l’unico a vedere l’uomo della voce, dialogheranno fino alla fine commentando il percorso. Dalla sfarzosa corte europeizzante di Pietro il Grande che fece della sua capitale la nuova Versailles e una delle città più belle al mondo, fino al grigio presente che ansima e boccheggia, tre secoli di storia scorrono senza sosta davanti alla videocamera che non sarà mai spenta per la fase di clean-up, è un’apnea nella Storia che carica sulla nuova arca di Noè quanto più sia possibile salvare prima che la memoria si dissolva.
Tutti possono conoscere il futuro, è il passato che non si conosce – dice la voce. Filmare l’Arte e la Storia, questo fu l’impegno di Sokurov all’inizio del nuovo millennio, prima di chiudere la trilogia del potere (oggi, con Faust, quadrilogia) e della sua nefasta solitudine.
Come il pittore si concentra sull’arduo compito di dare “a un breve attimo, strappato al tempo fugace, una esistenza essenziale e duratura” (( J.Constable, Various subject of landscape, 1832 cit. in E.H.Gombrich, L’immagine e l’occhio, Phaidon Press Limited, Oxford, 1982, ed Einaudi, 1985, p. 40 )) così nell’immagine in movimento il regista dà visibilità dinamica al suo pensiero, lo affida al tempo che lo sigilla in un’arca preziosa, la fantasia lo evoca potentemente, la memoria lo corrobora con le complesse stratificazioni della Storia, l’occhio lo guarda nel suo rilievo plastico, tutto è teatro nel pensiero prospettico che può dilatarsi senza confini, fin dove la conoscenza arriva a vedere. Sindrome di Stendhal ininterrotta, al film hanno lavorato più di 4500 persone, e parti “essenziali e durature” della grande storia russa prima e dopo la Rivoluzione sono riemerse. Sono un po’ triste, dice la voce del russo al Marchese che, col divertito cinismo del philosophe reduce dai salotti parigini, ribatte:– In Asia avete il culto per i tiranni, Alessandro, Tamerlano, Pietro il Grande, più sono crudeli più li amate | Pietro il Grande ci ha insegnato a godere la vita | Godere la vita! Uno che fa torturare e uccidere il figlio!Fece costruire una città sulle paludi e le diede un ordinamento dei più primitivi! | Ma questa città esiste ancora … – la voce sfuma, la Storia dell’uomo è sempre un conto che non torna.
Conversazioni private e funzioni pubbliche, sussurri e grida, gran Cerimonieri di Stato all’opera per udienze importanti con messaggeri persiani, gruppo di famiglia Romanov in un interno prima del diluvio, la piccola Anastasja che si scusa col padre per il ritardo a pranzo e Aleksej che rassicura la tenera madre di star bene, Caterina che corre alla toilette, corre nella neve, non ha pace, fanciulle in organza frusciante e fiori nei capelli che fuggono leggere fra ori e stucchi . La macchina da presa segue instancabile, a tratti galleggia nell’aria, altre sembra guardare dal buco della serratura, cambia angolazione di continuo, c’insegna a vedere, come sempre fa l’Arte. –Andiamo avanti – la voce invita il Marchese, fino all’ultimo quadro, dove l’uomo si arresta. – Io rimango qui – – Addio Europa – sussurra la voce – è tutto finito … –
Mentre la folla dei nobili scende allegra dal grande scalone centrale dopo il ballo di Corte, la macchina imbocca un uscio laterale, è aperto, filtri viola spengono lo sfarzo delle luci, fuori c’è il mare in uno strano sfocato dei margini dell’inquadratura sul fondo, tra realtà e sogno. Ancora viaggio e ancora vita. … e dovremo navigare per sempre e vivere, per sempre –