USA, 2006
56a Berlinale – ConcorsoCircoscrivere, popolare, moltiplicare le piste sonore e filmare con pudore. Altrimenti detto il metodo Altman, che in quasi quarant’anni di alterne fortune s’impone più in forma che mai in A Prairie Home Companion. Ultimo walzer di un live radio show davvero esistito, il cui autore Garrison Keillor – oltreoceano, una leggenda – appare sia in sede di sceneggiatura che in carne e ossa a condurre la serata, A Prairie Home Companion è un nuovo quilt altmaniano, corale, fluido, straordinario. Coadiuvato da un obiettivo vispo come quello di Ed Lachman. Chi lo dava per spacciato dopo lla visione di The company (2003) dovrà ricredersi all’istante. Bob è uno splendido ottantenne, alive and kickin’, con la musica country nelle vene e nel polso. E che polso.
I
A Prairie Home Companion è un juke box calibratissimo tutto giocato sulla leggerezza, con svariati momenti di ilarità. Quasi un On the air , ma sobrio e riuscito. Eppure c’è qualcos’altro nell’aria. Qualcosa di cui un altro Bob – Fosse – amava permeare i musical. Il tempo che passa, le cose che finiscono, in parole povere la buona, vecchia, Oscura Signora. Che qua appare nei panni di Virginia Madsen, femme fatale impassibile vestita di un trench immacolato. Che lo crediate o no, è un angelo. La donna di bianco vestita parla un po’ con tutti e si prende chi è arrivato alla fine della corsa. Ma anche in caso di morte, si sa, lo spettacolo deve andare avanti, e Garrison Keillor si rifiuta di dare addii o leggere necrologi. A Prairie Home Companion è intriso di questo spirito, e lo show – in radio e sullo schermo – pare non voler finire mai. Come i film di Fellini. Nessun gran finale che non sia una canzone, ancora, e ancora, con la macchina da presa in moto e il montaggio che dissolve al nero quasi per caso, sull’orchestra. Radio days da antologia. Applausi scroscianti e un cartellone si leva dal pubblico: Orso subito! Parole sante.