Una frenetica partita a mahjong, oggetti e fantasmi di un genere; è L’inizio di Se, Jie (Lussuria), ritorno di Ang Lee in una cina apparente, una terra di mezzo che si serve del transito e della non territorialità del Noir, per disvelare il potere del desiderio in un involucro che del classico ha solo l’opacità. In un certo senso non siamo lontani da Brockeback Mountain, dove una cartolina appesa di sghimbescio riproduceva il simulacro di uno spazio storicocinematografico come finestra cieca, luogo già visto, dentro e fuori dal film di Ang Lee e mutato in un non luogo che rintracciava nell’ellisse del non visibile i suoi momenti più crudeli. Si obbietterà che Se, Jie si sviluppa lungo il filo di una tensione carnale che esplode nella messa in gioco dei corpi, nella splendida performance di Tony Leung e Tang Wei, quando in realtà si sta cercando di diffondere a mezzo stampa delle avvertenze per l’uso; il sesso visto non è reale. Una delle scene più forti del film di Ang Lee ha ancora una volta una collocazione fuori luogo, ed è il racconto di Tang Wei ai capi della resistenza cinese nel momento più doloroso della sua mutazione, un racconto intollerabile, anche per chi ascolta, è una visione, l’idea che il suo sanguinare si trasformi in un’espansione del reale e che durante un coito i suoi compagni irrompano facendo esplodere il cervello di Tony Leung sul suo corpo; un doloroso racconto sulla mutazione di due mondi che dissemina il film di specchi, finestre della visione che si sfaldano l’una nell’altra. Questa collisione si percepisce nei momenti in cui il dispositivo della narrazione sembra seguire i generici movimenti di un supposto recupero nostalgico; tutta la sequenza dell’agguato a Tony Leung si svolge su uno slittamento continuo del senso, una deriva della verità nella menzogna per certi versi molto simile a quella collisione di livelli che è l’esperienza del peregrinare di Carice van Houten in Black Book di P. Veroheven; Tang Wei esce per la strada, ha appena vanificato l’attentato ai danni di Tony Leung, nessuna traccia dei cecchini, neanche visiva, quasi fossero imprigionati in uno di quei flashback nidificati che costituiscono il ricordo Noir che scivola nel film di Ang Lee; in quel momento Tang Wei si trova davvero intrappolata in una strana illusione.